Culture

'Ballate per uomini e bestie' con Vinicio Capossela

Domani a Castelgrande una raccolta di allegorie per una cronaca neomedievale in forma di ballata; perché ‘non si tratta di un disco di musica trap’…

Simone Cecchetti
24 luglio 2019
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“Un cantico per tutte le creature, per la molteplicità, per la frattura tra le specie e tra uomo e natura. Poesia, filosofia e denunzia”, sono le parole che introducono ‘Ballate per uomini e bestie’ (La Cupa, 2019), undicesimo album in studio del ‘ri-trovatore e immaginatore’ Vinicio Capossela, che raccoglie undici brani premiati con la Targa Tenco 2019 per il miglior disco in assoluto. Ogni componimento meriterebbe un approfondimento a sé, ma non è questo il luogo per un’esegesi approfondita; quanto piuttosto uno spazietto per dare spunti di lettura e tracce per introdurre l’ascolto. Un lavoro complesso costellato di riferimenti letterari (più o meno espliciti) che merita ben più di un ascolto di superficie. Si tratta di un moderno bestiario musicato – in larga parte – con i ritmi della ballata, un genere di lunga tradizione che va dai primi trovatori ai moderni cantastorie.

Ci dobbiamo limitare, con l’aiuto dell’autore, a una proposta di lettura del disco con protagonista l’essere umano – dalla natura duplice e irrequieta –, che denuncia con lirismo le derive della società occidentale, sbattendoci in faccia il nostro abbrutimento, in un’epoca ‘neomedievale’ vessata dalla peste virtuale e virulenta («nuovo pneuma che trasmette pulsioni antiche»), dove è l’ego smisurato a farla da padrone con la sua incontinenza perversa e vorace, dove si disprezza il prossimo, si sfruttano natura e animali; dove vince la legge del più forte.

L’occasione di fare quattro chiacchiere con il cantautore ci è concessa dalla data unica a Bellinzona, che aprirà l’edizione 2019 di Castle On Air con il ‘Gran Ballo per Uomini e Bestie - Un invito a Castello’ (Castelgrande, giovedì 25 luglio, alle 20.30; www.biglietteria.ch); un concerto, organizzato da GC Events, che ha in scaletta brani del nuovo album e «altre cose, declinando il tema».

Tra ragione e istinto (Siamo uomini o caporali?)

«Nei bestiari medievali, gli animali sono antropizzati al fine di fornire simboli e riferimenti che parlano della natura umana». Così ‘Uomini e bestie’ fa «riferimento alla capacità dell’uomo di elaborare una cultura», ma al contempo alla sua inclinazione alla «bestialità: quando regredisce allo stato di natura; quando la cultura cede il passo ai bassi istinti, alla legge della giungla del mors tua, vita mea. Questo è un periodo in cui ci sono tante suggestioni di questo tipo», come la «liberazione da ogni vincolo etico che avviene in rete [‘La peste’], ma anche la semplificazione forzata di complessi problemi del vivere sociale, come la migrazione» [‘Povero Cristo’]. La molteplicità della natura umana – che “non è una cosa sola/ cattiva oppure buona (…) perché ci ha dentro il cuore/ più stanze di un casino” – abita una creatura fragile e facilmente contagiabile dalla peste moderna che, lo abbiamo scritto un paio di righe fa, viaggia in rete e omologa tutti in un individualismo collettivo che ingrassa l’ego e annulla «la compassione e i legami sociali».

«La contrapposizione fra ragione e istinto è una dialettica inevitabile» e, parlando di società umana, il disco in qualche modo potrebbe richiamare «‘Uomini e caporali’ di Totò: da una parte coloro che si sforzano di elaborare un confronto, un’apertura (il naufrago lo salvi, perché potresti essere naufrago pure tu)»; dall’altra, i caporali che, citando Totò, sono quelli che sfruttano, danneggiano, maltrattano, umiliano; sono “esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno, li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza avere l’autorità, l’abilità o l’intelligenza”.

«La bestialità è rapportata all’essere umano», benché questo lavoro contempli brani con animali veri e propri, non solo figure simboliche. Creature che si dividono in «animali domesticati al lavoro» [‘I musicanti di Brema’] e bestie selvatiche (e anche leggendarie) come il licantropo [‘Loup Garou’] con la sua corsa a rotta di collo «verso uno stato istintuale primitivo, di rapporto primordiale con la natura», un tema questo piuttosto frequentato nel disco. «L’animale da sempre esercita enigma, fascino e attrazione nell’uomo, poiché ci si vede specchiato e non a caso, credo, le prime figure rappresentate sono stati gli animali» [‘Uro’]. Nell’era contemporanea, però, si assiste alla rottura del legame fra essere umano e animale: “Un rapporto che si consuma nel piatto, oppure mediato da peluches, fiabe e cartoni animati”.

Fra le creature allegoriche con un’esistenza «a stretto contatto con l’uomo», c’è il maiale, che «ha fatto parte del focolare domestico: prima in cortile, poi sul fuoco». Figura cantata nel dissacrante e divertente ‘Il testamento del porco’ che abborda i temi dell’incontinenza umana degli appetiti, dello stomaco e della carne. In un certo senso questa canzone è il lascito del corpo (che è anagramma di porco), «cioè l’affermazione totale della matericità e fisicità della vita, con i suoi appetiti e tensioni. Del resto il maiale è una creatura che la paga cara per la sua eccessiva prossimità all’uomo, avendone condiviso spazi e spesso anche inclinazioni, e per legge di contrappasso, dopo una vita trascorsa a mangiare, viene mangiato».

 
Dal reale al vero La necessità della ‘maraviglia’

A mo’ di formula rituale, ‘Loup Garou’ canta “lasciare il reale, ed entrare nel vero” ed è anche l’invito che lancia questo album a vivere e non a immaginare una realtà vuota e tecnologizzata. «A orecchio, i termini sembrano coincidere, in fondo però sono molto diversi». Nella cultura medievale dei bestiari era chiaro che «la realtà oggettiva è una cosa, mentre la verità che ci sta dietro è tutt’altra»: la prima è «fisica e appartiene alla scienza e all’osservazione oggettiva; la seconda invece è metafisica, intangibile e perciò non si può definire empiricamente; appartiene alla poesia». Spesso la prima è simbolo della seconda. Per gran parte del tempo, «il mondo ce lo immaginiamo, raramente siamo presenti, così come la verità».

 

A questo si lega anche il concetto di ‘maraviglia’ («userei la a») che «è l’origine di poesia e scienza. Tutto nasce dalla capacità dell’uomo a meravigliarsi e quindi interrogarsi; quando non comprendiamo qualcosa, e quindi ci meravigliamo, siamo mossi dal desiderio di ricerca. È qualcosa di molto razionale la ‘maraviglia’ e va a scardinare una certezza e ci spinge alla conoscenza: è un sentimento attivo, che ci mette in movimento». [‘La giraffa di Imola’].

Dall’infinitamente smisurato all’infinitamente piccolo e cosmico

‘La lumaca’, il canto che chiude l’album, è un brano di speranza. «La sua lezione è salvifica. La lumaca, a stretto contatto con il suolo, ci ricorda l’umiltà; parola che deriva da humus, cioè terra». Piccola, allo stesso tempo però, ha in sé «il cosmo: la spirale del guscio ha la forma delle galassie». Ci dice di farci «piccoli, riducendoci per recepire il mondo e accogliere l’altro». Umile e lenta «tanto che è difficile percepirne il movimento e questo accade anche a noi, che non vediamo giorno per giorno il nostro cambiamento», visibile solo dopo anni e tradotto «in una sorta di scia che lascia il nostro cammino; sta a noi decidere se sarà una traccia luminosa o d’escremento», chiosa.

‘Ballate per uomini e bestie’ è un ritratto lucido in forma d’allegoria che racconta la morte etica e morale degli “uomini piccoli e brutti”: prede dei bassi istinti, “disconnessi al mondo, connessi nella rete (let’s tweet again…)”; figli del vuoto televisivo e grigi clienti senza più passione, ma con immaginazione artificiale [‘Nuove tentazioni di Sant’Antonio’]; alieni da natura e mondo animale; ma anche dai propri simili: “Invece di un fratello/ vedere nel suo simile/ il primo da affogare/ se appena è un po’ più debole” [‘Il povero Cristo’].

È il canto di una drammatica deriva umana, cui fanno da controcanto alcuni barlumi di speranza, significata dalla figura della ‘Lumaca’ che ha nella sua lentezza la difesa, nella spirale del suo guscio l’interezza cosmica e chiama a “ricondurre il mondo/ all’umile/ e piccolo/ fuori dal tempo/ dell’Utile e del Lavoro (…) Sfidare il tempo/ facendolo lento/ e immanente”.

Ci fermiamo qui, consapevoli di aver abbordato una lettura del disco solo parziale; per informazioni e approfondimenti: www.viniciocapossela.it

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