Culture

La fisica innamorata dei quanti

Intervista a Gabriella Greison, sabato alla Supsi con il suo monologo sulla fisica quantistica e gli scienziati che hanno cambiato il nostro modo di pensare

Gabriella Greison (©Marina Alessi)
24 maggio 2019
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La fisica non è questione di formule matematiche, ma di immaginazione. E con essa, anche il profano può esplorare il mondo della fisica quantistica: ne è convinta Gabriella Greison, domani alle 19 nell’Aula Magna della Supsi a CanobbioTrevano con il suo ‘Monologo quantistico’. Ingresso libero; info e prenotazioni su www.supsi.ch/go/evento-greison.

Gabriella Greison, cosa ci fa una fisica a teatro? Mi sono laureata in fisica a Milano e poi sono andata a Parigi, all’École polytechnique dove ho fatto ricerca, ho anche condotto degli esperimenti con una équipe internazionale.
Ma alla fine sono tornata in Italia con l’idea di fare qualcosa di nuovo con la fisica, qualcosa che non c’era: il racconto divulgativo, il racconto facile della fisica. Negli Stati Uniti c’erano già alcuni segnali, ma in Italia i fisici potevano parlare solo in una certa maniera, potevano usare solo quel linguaggio tecnico, specialistico – una cosa che già Einstein diceva che non andava bene, perché bisogna essere in grado di spiegare a tutti la fisica.
Così quattro anni fa ho pubblicato ‘La cena dei fisici quantistici’, ed è stato un successo clamoroso, ottantamila copie. E da lì ho creato il monologo quantistico, con questa voglia di raccontare il 1927 che è l’anno fondamentale della fisica, è lì che è nata la fisica quantistica che è nella vita di tutti i giorni.

Sarà quindi più un racconto storico? Oppure si entrerà nei dettagli della fisica quantistica, materia certamente complessa…
… che io rendo semplice. La rendo semplice con aneddoti, con storie, con le vite dei protagonisti. Perché la fisica quantistica è nata grazie a 29 uomini, non a uno solo, e tutti hanno fatto qualcosa. Sarà semplice seguire il mio racconto che si rivolge a tutti: bambini, anziani, gente che non ha mai studiato fisica… Se poi uno vuole un approfondimento, su Audible (il servizio di audiolibri di Amazon, ndr) ho creato ‘Il cantico dei quanti’, un podcast dove racconto nei dettagli le cose più scientifiche. E tutto senza formule, sia lo spettacolo sia il ‘cantico’: uso le immagini, uso l’immaginazione – come faceva Einstein.

Il pubblico come reagisce?
Sono arrivata a duecento repliche in tutta Italia, e sempre al completo – anche alla Sala Sinopoli dell’Auditorium di Roma, un teatro da 1’200 posti. E la cosa più bella è vedere, dopo lo spettacolo, le persone che mi fermano per parlare ancora, perché sono nate nuove domande, nuove curiosità… e avere instillato nuove domande nelle persone è la mia personale vittoria.

Si riesce quindi a superare quel muro tra scienza e cultura, spesso pensate come cose diverse e incompatibili.
Non è che si è superato: l’ho superato, ho creato questo nuovo modo di raccontare la scienza. Il ‘Corriere della Sera’ mi ha definita “la rockstar della fisica” perché permetto di arrivare a qualsiasi argomento con facilità. Perché c’è tanta voglia di avere il racconto di questi che sono dei miti: Einstein, Marie Curie, Schrodinger, Dirac, Pauli… però li rendo terreni come tutti noi, con le nostre paure, le nostre insicurezze.

Abbiamo citato Marie Curie, il che ci porta alle donne nella scienza, un tema che le è caro…
Sì, le donne della scienza hanno permesso a tutti noi di realizzare i nostri sogni. Le donne del passato che non hanno avuto i riconoscimenti che meritavano: il premio Nobel, per esempio, mai assegnato a Lise Meitner o a Rosalind Franklin, che lo meritavano. Persone che sono andate oltre, che hanno cercato di realizzare i propri sogni nel lavoro e non a casa o curando la famiglia come la società voleva.

E oggi?
La scienza continua a essere un posto maschilista, rimangono delle strutture che vengono dal passato, pregiudizi che ancora adesso vengono dati per certi. In passato le donne non potevano entrare dall’ingresso principale, ma utilizzare quello secondario: Marie Curie doveva autofinanziarsi il lavoro, Lise Meitner poteva solo siglare gli articoli… è per limitazioni come queste che ci sono ancora adesso poche donne nella scienza. Ma le cose dovrebbero cambiare, perché dovrebbe contare solo il merito. Poi certo ci sono ancora i paludati accademici – li chiamava così Einstein –, ancorati ai loro pensieri, ai loro pregiudizi, ma come diceva sempre Einstein, è inutile spiegare loro che le cose stanno andando diversamente, prima o poi moriranno.

I paludati dei tempi di Einstein sono già morti: evidentemente ne sono arrivati di nuovi…
Ma di meno, perché le nuove generazioni danno qualcosa di diverso. C’è una nuova visione: pensiamo ai bambini attuali che, come risulta da un sondaggio, come modello non hanno più Harry Potter ma Hermione Granger, la “secchiona”.

Tornando allo spettacolo di sabato: attraverso le vite di questi scienziati, esploreremo anche i misteri della fisica quantistica…
Ma non c’è niente di misterioso: se si inizia così si parte già con un freno!

D’accordo, non è un mistero ma accadono comunque cose insolite, nella fisica quantistica…
Certo, insolite rispetto alla fisica classica, e al liceo si spiega quella e poi ci si ferma. Ma bisogna andare oltre. Quello che ci fanno vedere questi grandi è di non stare con chi non ci fa fiorire. Loro sono riusciti ad andare oltre, a scardinare alcuni pensieri perché hanno fatto gruppo con quelli che la pensavano diversamente. Non stare con chi non ci fa fiorire vuol dire tante cose: è valido per la fisica, è valido per le donne, è valido per il percorso di ognuno. Ed è la raccomandazione che faccio sempre alla fine del monologo.

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