Culture

'Tutto quel che voglio, pensavo...' (a colloquio con Antonello Venditti)

Il 9 e 10 novembre, doppio Palacongressi per il cantautore romano, che parla del 'disco del destino' ('Sotto il segno dei pesci', 40 anni fa) e di quello del futuro...

'...è solamente amore' (foto Ti-Press)
25 ottobre 2018
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Due pesci, uno arancio e l’altro blu, disegnati da Mario Convertino, l’uomo delle copertine dei dischi, dai Led Zeppelin ai Pink Floyd, da Pino Daniele ad Antonello Venditti. I pesci tornano, è ovvio, anche sulla copertina della 40th anniversary edition di ‘Sotto il segno dei pesci’, con ricco libretto. Sempre due, come i concerti di Venditti al Palacongressi di Lugano, venerdì 9 e sabato 10 novembre (ore 21), per volere suo e di GC Events. Il cantautore romano torna in Ticino completando il trittico aperto a Locarno nel 2013, e in mezzo Castelgrande, 2017. Lo fa in modalità unplugged (o “piccolo piccolo”, come dice lui), con l’inseparabile Alessandro Canini (batteria, chitarra), Danilo Cherni (tastiere), Angelo Abate (pianoforte) e Amedeo Bianchi (sax). Di questo viaggio nel tempo in quintetto, e un po’ anche di quel disco del 1978 i cui temi “sono attuali ancora adesso, e forse non è una buona cosa” (scrive Carlo Massarini nel booklet), ci parla l’autore dal suo studio romano, dove sono in corso i preparativi di un’importante festa di compleanno...

A Lugano l’unplugged è doppio...

Mi piace questo sconfinamento piccolo piccolo. Io e i musicisti siamo innamorati di questo concerto. Normalmente non ne faccio mai uno appresso all’altro. Lo faccio qui, perché suonare a Locarno, a Bellinzona, mi piace troppo.

A Castelgrande fu sold out...

Sì, anche se fu un concerto po’ sfortunato, qualche problema tecnico («La tecnologia è rimasta in dogana, la colpa è nostra, siamo italiani, ci meritiamo questa imperfezione che ci fa unici al mondo», (cfr. ‘laRegione’ del 29 luglio 2017, ndr). Vidi Jarabe De Palo il giorno dopo, quanta pioggia!

Evado gli obblighi: che concerto sarà?

Molto intenso, variopinto, vivo, diviso in 2 parti. Vado quasi cronologicamente, per arrivare a oggi, al contrario di ‘Ritorno al futuro’ (precedente tour circoscritto ai decenni 70 e 80, ndr). Rifaccio canzoni come ‘Compagno di scuola’, inserita in un intero racconto fatto di canzoni. Mi piace raccontare con le canzoni, compresa un’analisi storica che mi sembra importante nel mondo di oggi che tende ad annullare la storia, che non ha memoria. Gli svizzeri sono sempre competenti e attenti, rispecchiano perfettamente il senso dello spettacolo che andremo a fare.

Nel 2018 cade il 40esimo di ‘Sotto il segno dei pesci.’ Massarini lo definisce ‘un disco del destino.’ A me pare un disco del presente: ascolto ‘Sara’ e mi viene in mente ‘16 anni e incinta’; Giovanni, l’ingegnere che lavora in una radio, oggi è il laureato che fa il cameriere a Londra. E Marisa, l’insegnante che ‘vive male, è insoddisfatta,’ vive male ed è insoddisfatta anche oggi...

Sì, e ancora prima ti cito ‘Compagno di scuola’, che credo abbia una valenza nell’analisi romantica di una sinistra. “Compagno per niente, ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?”. Rivista oggi, mi sembra una canzone fantastica. Al di là della metafora, rimane la banca come simbolo. Il 1978 fu un anno importante, un momento di snodo, rapido e decisivo. Segna il passaggio dal mondo dell’essere a quello dell’apparire, che ancora resiste.

Avrei giurato che 40 anni dopo avresti inciso ‘Sotto il segno di Renzi,’ l’album che della sinistra avrebbe raccontato la fine...

(ridendo) Quella già l’avevo annunciata in ‘Bomba non bomba’, con l’intellettuale di Firenze. Un seguito non serviva...

Dieci anni prima di ‘Sotto il segno dei pesci’ era il Sessantotto. Cosa ti resta, 50 anni dopo?

Il Sessantotto lo porto dentro, anche quando non ci penso. Credo che chi l’ha vissuto come me, pur in versione critica, pur non totalmente immerso nel movimento, si porti addosso le stigmate. Quell’ideale di giustizia, cambiamento, ribellione allo status quo continua ad essere la mia stella polare.

Potremmo definirlo un ‘essere credenti senza praticare’?

Io pratico me stesso. Vivo la società partendo da una riflessione mia, pur vivendola intensamente. Non sono arroccato in casa, vivo nelle strade, nei bar, nei ristoranti, nelle scuole. Vivo con coloro che amministrano, con gli operai, coi tifosi, vivo un sacco di cose. Li vivo fisicamente, non come farebbe uno scienziato. Vivere più persone mi restituisce un senso di umanità. Non ho paura del populismo.

‘Sono un democratico che non ha paura del populismo, anzi. Forse sono stato l’antesignano del populismo,’ si legge nel libretto...

Mi ricordo che mi si prendeva in giro per “la gente”, come se la gente fosse una cosa disprezzabile. La gente è quella che poi in una democrazia compiuta è la democrazia. Quando ti dimentichi in un discorso democratico del popolo, che è demos, vuol dire che c’è un problema. Ma non affondiamo di più il coltello. Non si può lasciare il populista da solo, devi parlarci, devi tentare di portare a te con i tuoi principi quella che è la rabbia, la discriminazione, il razzismo latente che c’è. Non puoi solo disprezzare, ti ci devi confrontare, altrimenti ti comporti come lui. Come ti ho detto, non ho paura della gente, ci vivo in mezzo e soprattutto la ascolto. Vivo, la vedo e partecipo nel senso anglosassone del termine, nel senso di compassion. Dobbiamo puntare sulla nostra umanità. In qualche modo sono anche contento di questa rivoluzione che rimette al centro del discorso l’uomo più che il materialismo...

Leggo: ‘A patto che sia democratico.’..

Assolutamente. Basterebbe ascoltare di più Papa Francesco...

Mi stai dicendo che Papa Francesco è quella sinistra che non c’è più?

Parlando di sinistra umana, sì, è ben rappresentata da questo papato. Alla sinistra manca il rapporto con l’uomo.

L’uomo Venditti, nel 2019, fa 70 anni.

È un traguardo importante. Da qui al prossimo anno penserò solo al mio futuro, sarà l’anno zero. Ci tengo ad arrivarci facendo capire il più possibile quello che sono stato, ma dando anche l’idea di quello che sarò. In vita mia ho sempre pensato soltanto al futuro, e pensando solo al futuro ho potuto anche descrivere meglio il presente che ho vissuto. Non mi perdo nulla, porto le mie canzoni come testimonianza di vita e posso dire di essere tutto sommato contento di quel che pensavo di rappresentare e di quello che ora sono. È come quando ti si legge il palmo della mano: la destra è quello che il destino dice tu sia nato per essere; la sinistra è quello che sei. Più si avvicinano tra di loro le linee della mano, più sei compiuto. Oggi, quando specchio le mie mani, posso dire che le linee coincidono.

Settant’anni da festeggiare con un disco nuovo, viene da pensare...

Nel 2019 me lo aspetterei da me, vorrei farmi questo regalo, anche se stiamo facendo molte cose allo stesso tempo. Sarà un diario, alla fine tireremo le somme e vedremo che abbiamo combinato. La cosa interessante è che arrivo in studio con competenza, avendo metabolizzato tutta la mia storia, le mie canzoni e me stesso come individuo.

Concludo. Ora che Totti si è ritirato, Antonello Venditti è l’unico re di Roma in attività...

A Roma non ci sono re, fortunatamente. C’è solo un grande popolo che ha bisogno di essere curato. Il popolo romano deve avere cura di Roma e Roma deve avere cura dei romani. E l’amministrazione deve cogliere la volontà di partecipare che c’è nel popolo. Da parte di tutti vedo una voglia di farla più bella, Roma, più pulita. Va assecondato questo spirito civico, finito per troppo tempo ai margini.

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