Culture

Il dovere di combattere l'odio (incontro con Laura Boldrini)

Da sempre impegnata per i diritti umani, ospite del Festival di Lugano, ha sottolineato l’importanza di non nascondersi e tenere alta la testa

Laura Boldrini tra direttore (Antonio Prata, a sinistra) e presidente (Roberto Pomari) del festival (foto Salvatore Vitale)
15 ottobre 2018
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«I diritti umani sono fondamentali per l’evoluzione dell’umanità, sono irrinunciabili: non si negozia su questo». Poco importa che parlasse del ministro dell’interno Matteo Salvini che pone fine all’esperienza di accoglienza e integrazione di Riace, del degrado del dibattito politico italiano ed europeo, delle sofferenze dei minori non accompagnati o dei duri attacchi che, anche adesso che non è più presidente della camera, continua a subire; la forza, la determinatezza e la passione mostrate da Laura Boldrini ieri, durante l’incontro con la stampa per il Film festival diritti umani di Lugano, sono sorrette da questa convinzione: l’irrinunciabilità dei diritti umani. Il che è anche una risposta, indiretta, alle accuse mosse da un domenicale che accusa il festival di fare politica: non è propaganda, bensì umanità.

‘Non potevo restare zitta’

Laura Boldrini ha lavorato per 25 anni alle Nazioni Unite, di cui 15 all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Finché «nel 2012 decisi di accettare la proposta di candidarmi alle elezioni politiche come indipendente, perché pensavo che fosse arrivato il momento di mettere la mia esperienza al servizio del Paese», diventando, come accennato, presidente della Camera dei deputati. Subendo pesanti attacchi e diventando la vittima preferita di fake news. «Un attacco su più piani: invenzioni di bufale, tentativi di delegittimazione, minacce di morte, proiettili che arrivavano via posta, minacce alla mia famiglia, a mia figlia» ha spiegato ieri. «È stato pesante, non posso negarlo. Specialmente quando tua figlia, che ha vent’anni, vede sua madre che nei fotomontaggi viene decapitata, stuprata in tutti i modi… non faceva bene a lei, chiaramente neanche a me, ma a lei soprattutto». Ma, prosegue Boldrini, «ha capito che bisognava andare avanti e non mi ha mai chiesto di fare un passo indietro». E Laura Boldrini è andata avanti, come hanno fatto e fanno «tante altre persone che vivono la mia stessa condizione, specialmente le donne: quando le donne non si nascondono ma alzano la testa, diventano insopportabili, perché per una cultura maschilista e retriva è una insopportabile provocazione».

L’impegno per la parità di genere è del resto stato uno dei temi della sua attività politica: «Come terza carica dello Stato, dovevo occuparmi delle donne, dei loro diritti, della lotta agli stereotipi, del linguaggio sessista». Con gli avversari che si sono inventati bufale come quella della “presidenta” – nome che lei non ha mai chiesto di usare. Ed è solo un piccolo esempio dell’odio, «quell’odio che ci sta divorando, che sta rovinando il nostro modo di relazionarci, l’odio che inquina i rapporti, inquina la politica, inquina la rete: ho organizzato tavoli di lavoro, ho realizzato con la ministra dell’istruzione un progetto di educazione civica digitale nelle scuole e ho denunciato gli ‘haters’». Denunciato – «alla fine del mio mandato, così che nessuno potesse parlare di abuso di potere» –, perché «le persone che insultano, minacciano e ti buttano addosso le schifezze ne devono rispondere: l’ho fatto pubblicando alcuni dei loro nomi, li ho anche chiamati a casa. E avevano paura a venire al telefono, mandavano la moglie o la madre!». Reagire, anche perché «ai ragazzi dobbiamo mandare dei messaggi: come faccio ad andare nelle scuole a dire “se siete oggetti di bullismo dovete dirlo” se poi io, la più bullizzata del Paese, stavo zitta?».

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