Culture

Cher ha fatto il lifting agli ABBA

La cantante rivisita il catalogo degli svedesi senza cambiare una virgola. Anzi, una vite (nostra recensione in base a parametri Ikea)

(Con le tinte di Agnetha e Frida)
4 ottobre 2018
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Dopo avere riscritto le regole della vita di coppia dando il benservito al marito-padrone Sonny così come Tina Turner fece con Ike (Asia Argento non era ancora nata) e dopo avere riscritto la storia della discografia (almeno un n. 1 a decennio negli ultimi 6), Cherilyn Sarkisian LaPierre, incantevole e talentuosa figlia di un rifugiato armeno, è riuscita pure a riscrivere le regole della chirurgia estetica, portandola sino alle porte dell’imbalsamazione in vita. Una storia, quella di Cher, inferiore per contenuti rocamboleschi e da favola soltanto a quella della madre Jakie Jean Crouch (in arte Georgia Holt), raccontata nel documentario ‘Dear Mom, Love Cher’ (grazie, Rsi).

In un momento storico in cui anche gli attempati e non meno truccatissimi Kiss salutano con il tour The end of the road® (il nome è depositato), la 72enne icona gay e premio Oscar, che alle categorie artistiche di appartenenza disse: “Cantanti, non consideratemi una cantante e attori, non consideratemi un’attrice”, torna per omaggiare il catalogo degli ABBA in un nuovo album chiamato ‘Dancing queen’. In copertina, Cher l’Immortale ha la pelle levigata di una ventenne e – attenzione – si offre alla clonazione, egualmente divisa tra il biondo platino in onore di Agnetha e il castano scuro in onore di Frida (le signore ABBA).

 

Följ anvisningarna noggrant*

Per commentare questo lifting ai colossi della musica pop (svedesi) scomoderemo un colosso dell’arredamento (svedese). Gli affezionati di Ikea sanno bene che non si può montare un Billy con un set di viti dell’Hemnes. Per ognuno dei due scaffali serve una dotazione precisa alla quale hanno pensato un solerte impiegato e ancor prima un brillante designer (entrambi svedesi) dal gusto estetico tipico del fondatore, signor Ingvar Kamprad (svedese). Questo ‘Dancing queen’, pertanto, traballa per questioni di viti. E anche perché il produttore ha forzato troppo la brugoletta in dotazione.

Non è una novità. La Cher dall’immagine straripante non è mai stata un concentrato di sobrietà. Né in ‘Walking in Memphis’ (1995) – così vera la versione del suo autore Marc Cohn, così artificiosa quella della cantante – men che meno in ‘If I could turn back time’ (1989), dal videoclip patriottico girato a bordo di una nave da guerra, tra i marines in tripudio per il succinto completino post-atomico della star, che canta cavalcando un cannone (riferimenti fallici che nemmeno i Village People).

 

Kära, gammal, ärlig James Last**

In ‘Dancing queen’, gli ABBA vengono rivisitati con la stessa mano (pesante) del produttore di ‘Believe’, brano che in patria fu definito “la svolta pacchiana di Cher” anche per l’uso della voce autotunizzata *** (ben prima di Ghali e Sfera Ebbasta). Per la proprietà transitiva dei produttori, dunque, ‘Dancing queen’ è un disco pacchiano nel rispetto etimologico del termine (“vistoso che vuole apparire raffinato”), nel quale la rivisitazione inizia come l’originale, come tale continua e come tale finisce, senza aggiungere nulla alla storia della Svezia (nemmeno ‘The winner takes it all’ rifatta tunz-tunz).

‘Waterloo’ a parte, che è swing di suo, gli ABBA sono già stati rivisitati nell’unico modo possibile: stravolgendoli, come solo il jazz può. Si cita qui l’olandese Judith Nijland, ma l’intento ha accomunato molti altri. Stravolgere le composizioni di Benny e Björn (i signori ABBA), sublimazione di quell’effimera e un tempo per nulla ignorante arte chiamata ‘pop’, è l’unico modo per tributare senza far rimpiangere l’originale. Perché restandone nei pressi, si rischiano risultati inferiori a quelli del naturalizzato svizzero Fausto Papetti o del teutonico James Last con tanto di Orchestra (entrambi i maestri sono già nel Paradiso della cover), che gli ABBA li hanno cucinati in tutte le salse. Anche salsa. Volendo metterla sul cinema, ‘Dancing queen’ conferma le paure più recondite degli amanti degli horror asiatici quando gli americani decidono di farne il remake: alla fine, appaiono sempre dal nulla un fucile o una pistola, che nell’originale non c’erano.

* Seguire attentamente le istruzioni

** Caro, vecchio, onesto James Last

*** da ‘Autotune’, software per l’intonazione della voce che applicato in quantità massima produce un effetto “robot” (per Cher un vezzo; per i trapper, l’unica possibilità di emettere suoni classificabili sotto la categoria ‘canto’).

Bonus track: Theresa May 'balla' sulle note di 'Dancing queen' al congresso dei Tory a Birmingham

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