Culture

Fra Steinbeck e De André

Libere associazioni fra un romanzo americano e un disco del cantautore genovese

1 settembre 2018
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Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

«Ci sono due reazioni possibili all’ostracismo della società: o un uomo decide di essere migliore,
più puro e più cortese, o finisce male, sfida il mondo e fa cose anche peggiori» (John Steinbeck)

«Ci sarà allegria anche in agonia col vino forte / porteran sul viso l’ombra di un sorriso tra le braccia della morte» (Fabrizio De André)

Uno degli incipit letterari più potenti del Novecento è quello di Vicolo Cannery (Cannery Row), che John Steinbeck pubblicò nel 1945 (Bompiani): «Il Vicolo Cannery a Monterey in California è un poema, un fetore, un rumore irritante, una qualità della luce, un tono, un’abitudine, una nostalgia, un sogno». E poco oltre: «I suoi abitanti sono, come disse uno una volta ”Bagasce, ruffiani, giocatori, e figli di buona donna”, e intendeva dire: tutti quanti. Se costui avesse guardato attraverso un altro spiraglio avrebbe potuto dire: ”Santi e angeli e martiri e uomini di Dio”, e il significato sarebbe stato lo stesso». Così inizia questa storia di una stramba comunità segnata dalla povertà e dai guai, certo, ma anche da una tragicomica resistenza collettiva al destino.

Il finale migliore, con un «attacco» così, potrebbe venire da chi si avventura lungo gli stessi sentieri, pur ritrovandoli dall’altra parte dell’oceano: «Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli / In quell’aria spessa carica di sale, gonfia di odori / lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano / quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano. / Se tu penserai, se giudicherai / da buon borghese / li condannerai a cinquemila anni più le spese / ma se capirai, se li cercherai fino in fondo / se non sono gigli son pur sempre figli / vittime di questo mondo». È il Fabrizio De André de «La città Vecchia» (1965), che per l’occasione ruba la musica a «Le Bistrot» di Georges Brassens (1960) e si lascia ispirare da una poesia di Umberto Saba: «Qui prostituta e marinaio, il vecchio / che bestemmia, la femmina che bega, (… ) sono tutte creature della vita / e del dolore; / s’agita in esse, come in me, il Signore». Amen!

 

 

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