Ticino7

Prenditi cura di me, badante

Le voci di chi si occupa degli anziani e dei nostri cari quando necessitano di assistenza a casa.

Illustrazione di Chiara Fiorini
25 agosto 2018
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Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Siamo quelle che devono trovare le parole, per la vita e per la morte. Siamo come figlie, come amiche, come le spezie nel Medioevo, che arrivavano sui carri da Oriente. Siamo l’amore che arriva da Est. Dobbiamo fare ridere, alleviare i dolori, per gli ultimi anni, mesi, minuti. Siamo venute qui apposta. E quando abbiamo finito, quasi sempre, ce ne torniamo a casa.

Quando siamo partite

Quando siamo partite, non tutte le nostre famiglie erano d’accordo. Certi mariti forse sì; quasi mai le madri o i figli. Poi magari i figli si abituano. Crescono e in fondo quella paga che arriva da Occidente fa così comodo. Sappiamo sempre il giorno esatto in cui siamo arrivate e, mentre curiamo quella degli altri, sappiamo sempre cosa sta facendo la nostra mamma, a duemila chilometri da qui.

Siamo le badanti di Romania, Polonia, Ucraina, Russia, Moldavia, Croazia. Abbiamo conosciuto il comunismo. Ci hanno insegnato a occuparci degli altri; abbiamo imparato a badare a noi stesse. Siamo tutte diverse, chi era elegante, chi professoressa, chi già badante, chi povera, chi focosa, chi rabbiosa, chi emotiva, chi mamma di sei figli, chi vedova. A un certo punto, però, tutte noi abbiamo fatto la valigia. Abbiamo preso un bus.

Quello che ci date

Quando arriviamo ci date i genitori vostri e le chiavi di casa, ci date il bagno e la cucina, i vestiti da metter loro; ci date la fiducia, perché è un appuntamento al buio. Per voi e per noi. Vi diamo la pazienza, l’affetto, tutta la cura di cui siamo capaci. Facciamo un lavoro bellissimo ma difficile: c’è solitudine e allo stesso tempo mancanza di intimità. Viviamo sul nostro posto di lavoro. Il nostro coinquilino è il nostro datore di lavoro. Dobbiamo creare un’alleanza, se no è un inferno. Prima di tutto dobbiamo imparare l’italiano. Una di noi è arrivata una sera e le hanno detto: «Questa notte dormi sul divano, che domani ti prepariamo il letto». Gridavano, perché, visto che non capiamo bene la lingua, la gente parla più forte, chissà perché. In polacco però divan vuol dire tappeto. La mattina l’hanno trovata sul tappeto che dormiva...

A volte ci chiediamo: ma alla nostra età, chi ce lo fa fare di venire qui a servire in casa d’altri? Noi non speriamo di rifarci una vita, come gli altri migranti. Non ci portiamo qui la nostra famiglia. Siamo qui perché i nostri figli vadano all’università, perché si possa rifare il tetto alla nostra casa, siamo qui perché le pensioni da noi sono ridicole. Siamo qui perché la nostra vita continui più o meno come prima.

Siamo venute sempre anche per soldi, ma mai solo per soldi. Non si può fare la badante per soldi. Meglio fare la cameriera, allora, o la cassiera. Una responsabilità così grande, una condivisione così assoluta non si sopporta a lungo. A noi nel contratto mettono l’affetto.

Perché lo facciamo

A volte facciamo le badanti perché badare a qualcuno è l’unica cosa che sappiamo fare, altre volte perché ci dà libertà, altre volte ancora perché è un bel mestiere, che anche le donne come voi un giorno faranno. Lo facciamo a volte perché ci dà anche la casa. Quando eravamo venute qui con la speranza di fare altro e non ci è riuscito, a un certo punto avevamo bisogno di tutto.

Molte di noi preferivano curare i bambini, ma un posto con gli anziani era più facile da trovare. Lo facciamo perché a volte le signore ci danno la tenerezza che non abbiamo ricevuto dalle nostre mamme; a volte perché noi diamo loro quella tenerezza che non abbiamo potuto dare alle nostre mamme. 

Abbiamo tutte avuto una qualche brutta esperienza. Siamo quasi tutte arrivate prima in Italia, poi abbiamo sentito che anche in Svizzera cercano badanti e pagano meglio. Che i sindacati si muovono per fare qualcosa, per un contratto collettivo. Ma c’è sempre chi dimentica che dietro questa scorza che lavora c’è anche qualcuno che vive. Toc, toc. Chi sei, badante? E noi vorremmo raccontare.

C’è una tra noi, una che ride sempre, scherza su tutto, ma quando qualcuno le chiede da quanto tempo non torna a casa smette di ridere di colpo, le scendono le lacrime zitte zitte come un rubinetto che cola e con la voce calma dice: «Sono dodici anni che non faccio una Pasqua o un Natale a casa». E quando è Natale o Pasqua apre la finestra, così sente le campane. Chiude gli occhi e si immagina di essere a casa.

Fare un viaggio

Lo avete già fatto voi un viaggio? Intendiamo, non un viaggio che poi si torna indietro, un viaggio che bisogna mettersi l’odore di casa in valigia, perché poi non si sa quando si torna. Un viaggio che parte perché il vostro paese non vi dà la possibilità di vivere come volete, al punto che vi strappate il cuore e ve ne andate via. E la notte vi sognate vostra madre che cuoce i pomodori e l’albero che avevate in giardino. E il colore azzurro degli steccati dei vostri villaggi. O la cattedrale della nostra città. Il caffè come lo si beve da noi. E l’odore di metallo del metrò. E la nostra lingua: non c’è niente di meglio che chiacchierare nella propria lingua, lo diciamo tutte.

Avete già fatto un viaggio che dopo quel viaggio non siete più né di qua né di là? Ci sono alcune di noi che tornano a casa e non si ritrovano più. Al paese credono che adesso abbiamo la puzza sotto il naso, invece noi non abbiamo sognato altro che sentirci a casa ancora una volta, con i vicini di casa che ti chiamano per nome e ti invitano per un bicchierino.

Per la nostra vecchiaia

Per la nostra vecchiaia, poi, vogliamo anche noi la badante. Non vogliamo che i nostri figli ci curino. Vogliamo qualcuno che di lavoro faccia quello che stiamo facendo noi. Che ci permetta di stare a casa nostra, così non siamo un peso per nessuno. Che ci faccia i massaggi, che ci aiuti a scegliere i vestiti, ad alzarci, a tenerci pulite, a mangiare bene le cose che ci piacciono. Che ci dica parole gentili anche se diventiamo scorbutiche. Che ci sopporti. Che se abbiamo una lite con qualcuno ci dica dolcemente che tutto si metterà a posto. E che poi insista piano per farci telefonare a quel parente, che magari è nostra figlia o nostra sorella e che se non fosse per la badante moriremmo senza dirle scusa. O almeno ciao.

Chi siamo

Siamo Maria, Valentina, Viorica, Anna, Silvia, Alina, Nataša, Olga, Marilena. Non siamo certo tutte brave, non siamo tutte uguali, siamo tutte fragili e forti a modo nostro, siamo solo voci che di solito non si sentono. Siamo contente quando qualcuno ci considera donne e non solo badanti e basta. Perché non siamo badanti e basta. Sappiamo che ci riconoscete per strada, che pensate «Quella è una badante». Se venite da noi anche noi lo sappiamo: «Quello è un turista». Siamo contente che ci avete ascoltate, guardate, sentite. Grazie. Era solo questo di cui avevamo bisogno.

 

***

Nataša prende il bus. Storie di badanti, di madri e di figlie di Sara Rossi Guidicelli, Ed. Ulivo (2018)

Anja, Nataša, Elvira, Alina, Romica, Katia, Iulia, Anna, Cristina: nove donne che hanno lasciato il loro paese nell’Est dell’Europa per lavorare come badanti in Occidente. Raccontano da dove vengono, il viaggio che hanno fatto, cosa hanno trovato qui. Maddalena, Rosalia, Zoja, Natalia: quattro donne che a un certo punto della loro vita hanno dovuto decidere se assumere una badante per i loro genitori. Parlano dei loro sensi di colpa, del sollievo e della fatica (o no) di dare fiducia. E poi c’è una nonna, che dava la benedizione alle sue nipoti, e Santina, che vive con una badante e dopo la morte vorrebbe diventare una morbida zolla di terra. Quindici testimonianze cucite insieme da un canto d’amore, pieno di nostalgia e di voglia di conoscersi meglio. Il libro è arricchito da illustrazioni dell'artista Chiara Fiorini che, ispirandosi al testo, ha combinato parti dipinte a ritagli di stoffe e lettere.
Il libro si trova in libreria o si può ordinare alla casa editrice: ulivo@edizioni-ulivo.ch. Al Teatro Sociale di Bellinzona l’8, 9 e 10 novembre debutterà l'omonimo spettacolo con Ioana Butu e Daniele Dell’Agnola, per la regia di Laura Curino.

 

 

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