Culture

I confini di Mario Mondo

La storia del disegnatore, grafico, artista, una ricerca di libertà da riscoprire in una mostra.

Autoritratto di Mario Mondo
19 maggio 2018
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Quali sono i confini che ognuno di noi attraversa nella vita? Molteplici, a volte invisibili, sfuggenti; poi, improvvisamente prendono forma aprendo la coscienza a stati d’animo diversi. I numerosi incontri che ho avuto con Mario Mondo tra Ligornetto, San Pietro, Clivio, Saltrio, geografia dei luoghi e dello sguardo, penso fossero un desiderio condiviso di fuga e ritorno, mutevolezza e identità. Il profilo, giacca e camicia, appariva sopra una bicicletta da corsa tradizionale, il pantalone ripiegato.
Mondo, che ci ha lasciato il 25 ottobre del 2015, è stato illustratore, designer, grafico dotato di un segno originale, potente e di una capacità di rappresentazione che ne fanno uno dei migliori artisti in questo campo, anche se lui si diceva artigiano. Esperienze come direttore creativo per progetti di comunicazione, marketing, pubblicità, uno stile che porta a immagini capaci di svelare il reale laddove non avresti pensato di trovarlo. Storie, illustrazioni, collaborando anche con Alberto Nessi, Mario Giudici e un volume per la ‘Piccola Biblioteca Oscar Mondadori’ scritto da diversi autori, tra cui Eraldo Baldini. Dal 2009 al 2015 lavora presso la Pinacoteca Züst di Rancate, realizzando cataloghi di pregio per diverse mostre.

‘No, non faccio l’insegnante’

A lui, Casa Pessina, Ligornetto, dedica la mostra ‘Saluti da un confine incerto’ (19 maggio-10 giugno, per informazioni 078 858 85 03). Una retrospettiva da non perdere sia per chi ne conosce l’opera, riscoprendola, sia per chi si avvicina a questa per la prima volta. Parliamo di un’occasione sentita, attesa, nella sua casa a due passi dal museo: la compagna Cristina, il figlio Giacomo (Jack), la sorella Maristella, gli amici. Si stappa qualche bottiglia, si mangia qualcosa, un modo di stare insieme che a lui sarebbe piaciuto.
Antonio Curcetti, amico di una vita, racconta: «Ho conosciuto Mario intorno al ’74, al liceo a Varese; frequentava le scuole magistrali perché forse voleva emulare il padre. Ogni tanto faceva capolino al liceo artistico, il suo ambiente». Una volta diplomato? «C’ero, quando nel giro di poche ore decide di non andare più a insegnare alle scuole elementari di Olgiate Comasco. Lascia suonare la sveglia e torna a letto, mettendo un brano dei Ramones a palla».
E dopo? «Squilla il campanello, è la preside che lo cerca. Lui si presenta in mutande e dice, “guardi che ho deciso di fare il grafico a Milano”, firmando lì per lì una liberatoria sotto gli occhi stralunati di quella signora! Inizia a girare per le agenzie pubblicitarie con una cartella piena di disegni. Avevo coniato sul suo pellegrinaggio dei nonsense, scrivendo che arrivava a Rovellasca senza una lira in tasca… vivevamo insieme, ci contendevamo le scatolette per i pasti».
Mario, che in quegli anni dedica una giornata a Jack Kerouac nel giorno della morte dello scrittore, una messa in scena di tre giorni ‘on the road’ scandita da passaggi obbligati: autostop, notti in bianco, letture. «Nel piccolo – continua Antonio – inseguiva i grandi territori americani». S’iscrive all’Accademia di Brera, pensa che ogni aspetto creativo sia fortemente legato al lavoro: «Un provocatore timido che minava i rapporti sociali e poi se ne pentiva. Un aristocratico, che amava le trattorie e detestava il mondo borghese».
L’incontro con Cristina è il passaggio di quel confine meta dei suoi giri fuori e dentro, sottile linea d’ombra. Maristella: «La frontiera è quella che ha separato le nostre origini, profughi istriani. Una frattura. La prima cattedra che hanno dato a nostro padre è stata a Valmadrera: poi la Valsolda, infine Olgiate Comasco, dove siamo nati».
Mario non amava le gallerie, ama invece i circolini, i vicini di casa. Il bar del paese. E proprio a Ligornetto, negli ultimi tempi pensa a un progetto sui volti di chi il bar lo frequenta. Aurelio Nava è uno di questi: «All’inizio, quando discutevamo vedeva le cose diversamente, poi ci si ragionava sopra. Il bar era per lui un atelier e aveva in mente di realizzare un nuovo progetto, avvolto dal mistero». Su questo, interviene Norman Pelle, svedese trapiantato in Ticino, al quale Mario chiede di fare delle fotografie in vista di ritratti sulle persone che sostano al Bar Centrale: «Non era d’accordo sul risultato delle foto, ma dopo ci siamo arrivati; lo ricordo solare, con un sorriso che a volte celava qualcosa. Credo fosse un po’ di tristezza». Cristina: «Un progetto a cui teneva molto, ritrarre i volti in vista di una mostra a Casa Pessina. Per tutti la stessa maglietta con la scritta ‘Black Flag’, un gruppo musicale statunitense. Ci ha lavorato fino a quando ha potuto farlo».

‘Un disegnatore formidabile’

Si parla, ognuno torna a episodi ed ecco il pittore Giovanni Frangi, altro amico storico di Mario Mondo. «L’ho conosciuto a Udine nell’80 alla caserma Berghinz, di fronte a me nella camerata con i letti a castello. Siamo diventati subito amici come lo si diventa a quell’età, che vuol dire per tutta la vita». Dove vi siete rivisti? «Frequentava l’Accademia di Brera e in quegli anni avevo uno studio in Ripa Ticinese dove dipingevo. Quando Mario stava a Milano era la sua casa. Siamo andati a Parigi diverse volte, ci siamo divertiti; eravamo sulla stessa lunghezza d’onda». Il suo lavoro? «Già allora era un disegnatore formidabile, con la matita o il pennarello muoveva la mano sul foglio bianco con un’incredibile destrezza, tanto che per molto tempo era ricercatissimo da tutti quelli che contavano nella pubblicità milanese. Per molte cose, più avanti di me. Mentre io amavo Morlotti, lui adorava Schifano e Manzoni. E Jim Morrison, Gianni Celati: il suo lato sentimentale. Aveva una franchezza istintiva, il suo non era mai un giudizio scontato». Cosa pensi della mostra? «Penso che come artista meritasse di più. Forse, è venuto il momento di cominciare a saldare il conto».
Maristella lo ricorda fin da bambino «quasi sempre con la matita in mano. Per lui erano importanti i legami, quelli familiari. Una cosa indispensabile». Cristina, le scoperte fatte con Mario: «Faticose e bellissime. Strade secondarie, avventure, il Delta del Po avvolto dalla nebbia. Venezia è stata la nostra città; l’ultimo viaggio alla Biennale, nel 2015. L’amore per l’acqua, le sue radici».
Stiamo lasciando casa e l’immagine che tengo dentro di me è quella di Mario che prende sulle sue spalle Giacomo, da piccolo. La fiducia di una presenza assoluta, guardare le cose dall’alto cercando al di là del confine il filo dell’orizzonte. Quello che inseguiva, giacca e camicia, sulla sua bici da corsa.

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