Ticino7

Avete mai ascoltato Beethoven in un bosco?

Dentro la vita e la grande collezione di vinili di Brenno Bolla, in quel di Olivone

(Ti-Press / Alessandro Crinari)
12 maggio 2018
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Pubblichiamo un articolo apparso venerdì 11 maggio su Tiucino7, distribuito con 'laRegione' e durante tutto il finesettimana nelle cassette di 20MInuti

I vinili tappezzano le pareti della sala e dello studio. Un giradischi che sembra un’astronave è atterrato accanto a una grande finestra, spalancata sulla valle. Tutto attorno amplificatori, generatori, valvole. Poltrone comodissime davanti a due grandi casse acustiche, che quando iniziano a vibrare sfondano la quarta parete, evocando un immenso palcoscenico. È la «casa del suono» di Brenno Bolla a Olivone: una fonoteca casalinga che raccoglie una delle più impressionanti collezioni di musica classica (ma non solo) di tutta la Svizzera.

Viaggio nel tempo

Suonerà banale, ma di gente come il signor Bolla se ne incontra sempre meno. Uomini che passano la vita andando a caccia di suoni, di registrazioni rare e prime edizioni («la prima è sempre la migliore», perché è quella eseguita con lo stampo madre, il più fedele alla registrazione originale). Si potrebbe restare ore ad ammirarne la ritualità: il gesto paziente di quest’omone avvolto in un comodo cardigan verde, che sfila un disco dalla sua custodia, vi accosta con delicatezza la puntina, si siede, chiude gli occhi beato come un bambino. Non è questione di facili nostalgie: è che la buona musica si dovrebbe ascoltare così, senza la tentazione di saltare da una traccia all’altra con un dito. Preoccupandosi che ogni ottavino, ogni contrabbasso suonino al posto giusto. Facile prendere in giro gli audiofili, ora che il vinile è diventato una moda hipster; ma il Bolla viaggia nel tempo e nello spazio, e quando ti prende con sé hai solo di che essere grato.

Cresciuto in mezzo alla musica – «quella classica che mettevano su i miei genitori a Bellinzona, e che non potevamo toccare» – ma anche sui campi di calcio, Bolla ha fatto rapidamente carriera a Zurigo, ramo assicurativo. Ma il divertimento arrivava al momento di lasciare l’ufficio, quando «potevo andare a tutti i concerti che volevo. Se andavo a Lucerna, il direttore mi lasciava mezza giornata libera per prepararmi». Prepararsi qui non significa acquistare i biglietti del treno e mettere una giacca in borsa. Vuol dire arrivare al concerto con largo anticipo, girare per il foyer, «rubare» le ultime prove e prepararsi alla trance artistica. Con estenuante tenacia: «Quando vado a un concerto con qualcun altro, o diventa matto lui, o divento matto io».

Bolla ha mollato la carriera a soli 42 anni, quando ha ereditato la casa in cui vive. «Quando il medico mi chiede a cosa sono allergico, rispondo: al lavoro. Sono solo, perché sarei dovuto restare lì a rompermi?». Ha deciso che poteva vivere di risparmi, conducendo una vita frugale, musica a parte. «All’inizio andavo in banca e prelevavo biglietti da 20 franchi: per poter vivere con 40 franchi al giorno, e mettere da parte il resto. Non ho mai risparmiato così tanto». E così «son più di trent’anni che sono qui a far niente».

Si fa per dire, niente. Bolla si sveglia alle cinque e mezza. Dopo la colazione si incontra al bar con gli amici. Dalle nove, musica, «se la “sento” bene». Ovvero se è dell’umore giusto, per il quale comunque consiglia un potente psicofarmaco: «Le sonate per pianoforte di Mozart. Con quelle non si sbaglia». Pranzo, giretto in bici, «elettrica». Dalle sei di sera «mai venire qui se non annunciati»: inizia la serata della musica «ben ascoltata». La stessa che talvolta propone al Centro Sci Nordico di Campra, come quando «feci ascoltare la Sesta di Beethoven in mezzo a un bosco. Un’esperienza indimenticabile». E il prossimo 9 giugno sarà il turno del pianoforte di Mozart. Perché «la musica si respira!».

Fra sonate e chimere

Il suo è un pellegrinaggio costante per l’Europa: da Salisburgo a Parigi, da Amburgo a Milano. «Conosco quasi tutti i negozi di dischi d’Europa», come il defunto Orlandini di Genova, dove «a fine anni Settanta spesi 400mila lire per le Sonate di Scarlatti suonate da Clara Haskil (disco Westminster, una chicca)». E poi via ai concerti, dove incontrare vecchi compagni di ascolto e, soprattutto, artisti: «Il contatto con gli interpreti è fondamentale, e spesso in Ticino manca. Io sono un topo di camerini, anche a costo di corrompere la sicurezza con fiori e cioccolatini. Una volta Pletnëv mi cacciò fuori». A testimoniare la sua ostinazione, oltre a un’enorme collezione di autografi, il baule degli aneddoti: «Quando facevo uno stage a Monaco incontrai Herbert Von Karajan. Gli rinfacciai di non rispettare i tempi delle partiture, e lui mi rispose: “Ma è quello che vuole la gente”. Lì per me cadde il mito Karajan». Ma intanto è da lì che «mi è venuto il virus della Nona di Beethoven: ne possiedo 176 incisioni». Manca solo la dodicesima registrazione di Furtwängler, una specie di chimera: «Fu effettuata a Milano, ma mai pubblicata. C’è chi giura di averne visto gli acetati, ma forse non esiste nemmeno». Forse.

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