Arte

‘In ogni casa ci dovrebbe essere un quadro nero’

Intervista all’artista Zijad Ibrahimovic nel suo spazio di lavoro ed espositivo a Lottigna dove è in corso l’allestimento ‘Sovrascritture’

27 febbraio 2021
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«A mio avviso in ogni casa ci dovrebbe essere un quadro nero».  Da quando ho sentito questa frase, pronunciatami da Zijad Ibrahimovic nella grande cucina dello spazio in cui lavora ad Acquarossa, davanti al caminetto infuocato che riesce a scaldare tutto l’ambiente, rimugino. Cosa può essere questo nero? Non credo che sia il nero di Pierre Soulages né mi sembra poter essere il nero di Paolo Foletti e la casistica che ci si prospetta induce a ipotizzare uno specifico progetto di riflessione. Certo è che già nell’allestimento costruito ad Acquarossa – per la precisione a Lottigna, info: ibrahimovic.zijad@gmail.com – il nero assume fattezze diverse quando lo vediamo steso sulle doppie pagine dei libri aperti e inchiodati in un grande riquadro oppure quando lo vediamo matericizzato nei tasselli di legno incollati in modo da comporre una unità o ancora quando ci si presenta nella forma di una porta con la maniglia color ottone o di un quadro dove si mischia con un giallo oro/bronzo, oppure quando vuole trasformare un oggetto funzionale, una grata in legno, in un oggetto d’arte. La casistica nella quale si esprime il nero evocato nelle parole dell’artista è dunque varia anche all’interno della sua produzione e se la frase citata ne indica una componente unitaria, questa va forse ricercata nella storia di Zijad Ibrahimovic o ancora di più nella storia del suo sguardo e della realtà che quello sguardo ha visto e vissuto. 

Il primo impulso, pertanto, può essere di limitarsi al silenzio, guardando i diversi modi in cui quel colore e quella realtà si parano innanzi e i diversi modi in cui l’artista ha raccolto in immagine, attraverso un cortometraggio, la realtà di quel territorio: un fiore, una Madonna, i rovi, i binari, le traversine, i vagoni colorati e molto altro accompagnato da un sostrato di suoni elaborati dalla presa diretta in natura. 

Se la natura in sé non esiste ma la abbiamo come espressione e ambiente del noi, un contributo che Zijad Ibrahimovic ci dona con l’allestimento di Acquarossa è la proposta della natura delle cose quale espressione della sua personalità. Io vedo, cioè, un lavoro di assoggettamento delle cose e un impulso a conferire loro una nuova natura, vita e quindi oggettualità.

Trasferendoci da un lavoro all’altro vediamo prendere forma il modo in cui, nell’arte di Zijad Ibrahimovic, vivono le cose: vivono per lui, per noi, per se stesse. Nel video, il cui titolo è ‘Fiori a volte’, le cose sono i soggetti riconoscibili che ho già citati (un fiore, una Madonna…); nelle altre opere le cose diventano il supporto sul quale l’artista interviene, come dice lui, con la sua sovrascrittura. Il cortometraggio le raccoglie nell’immagine e le trasferisce al nostro sguardo; il libro è il piatto, il vassoio, il cesto dove viene apposto il nero che cancella il testo stampato; è, in questo modo, supporto della pittura ma è anche oggetto che si dispone su una superficie, esprimendo la propria capacità compositiva attraverso la propria specifica qualità oggettuale. 

L’allestimento di Acquarossa si intitola ‘Sovrascritture’: il nero scrive sulla pagina di carta e sulla pagina di testo scritto; il libro sovrascrive una trama formale in un campo visivo; i chiodi che fissano i libri sovrascrivono una punteggiatura metrica, quindi una misura spaziale e un ritmo. 

In un’altra stanza dell’allestimento vediamo una composizione fatta di una serie di vetri, circondati dai rispettivi telai, utilizzati per la loro disponibilità a contenere segni grafici o meglio grafemi che credo siano inventati e che si aggiungono, si adagiano e si sommano a ciò su sui sono composti. 

Vi è poi il grande tappeto che sembra essere stato oltremodo utilizzato, sottoposto a una serie di trattamenti che, se leggo bene, hanno cercato di trasformarlo in un quadro. 

Il concetto di quadro, inteso come opera pittorica, sembra essere un’area di destinazione del lavoro attraverso il quale Zijad Ibrahimovic sta in relazione con la realtà. Le lamelle di metallo ossidato diventano un quadro minimale; i listelli di vetro, legno, carta e cartone disposti verticalmente e fissati con spilli e chiodini vogliono creare un quadro dedicato alla vibrazione di alcune tonalità di grigio, verde e marrone; anche la disposizione di brandelli di tettoia , con un piglio che attinge pesantemente alla tradizione linguistica dell’arte povera, sembrano volersi proporre a noi fruitori come una peculiare tipologia di quadro. 

E il quadro è, a sua volta, un oggetto, una cosa, come se l’artista ambisse, attraverso il lavoro di formalizzazione che vediamo compiersi diversamente nel cortometraggio e nei lavori plastici, approdare a una nuova dimensione, misura e natura oggettuale e, così, a una nuova vita. 

Tutti questi passaggi sono la linfa e il frutto di un afflato drammaturgico ed è in questo senso che accolgo la confessione con la quale l’artista mi esprime di volere attribuire al nero la funzione di contribuire alla costruzione del tessuto drammaturgico del proprio lavoro. Se quindi l’identità cromatica di tale strumento si radica nella storia dello sguardo che ha vissuto alcune forme di sedimentazione della morte, trasferendosi nel processo di formalizzazione il nero diventa uno strumento vitale, un modo per circoscrivere e limitare il punto di vista sulla realtà così come lo sono le vibrazioni cromatiche dei verdi, grigi, delle ruggini di altri lavori e così come, nel cortometraggio, il movimento della camera viene utilizzato per generare il senso del tempo specificamente necessario nella descrizione di una ben definita e circoscritta realtà territoriale: la valle in cui è sita Acquarossa.

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