Arte

Gianni Miraglia l’Iиstaиt Shamaи alla Rada di Locarno

L’artista come cavia da laboratorio, anzi da palcoscenico: sabato 3 ottobre, insolito vernissage con il pubblico invitato a indossare una maschera dell'artista

28 settembre 2020
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Essere Gianni Miraglia. Uno, nessuno e centomiraglia. C’era l’imbarazzo della scelta, giocando sul suo nome, sul fatto che il pubblico sarà invitato a indossare le maschere con il suo volto e sul tema che porterà sul palco sabato 3 ottobre, alle 18, quando aprirà l’esibizione “I, Novel” alla Rada Spazio Arte Contemporanea di Locarno.

L’artista italiano Gianni Miraglia ha scelto invece Iиstaиt Shamaи, con quella "n" volutamente rovesciata, presa in prestito dall’alfabeto cirillico, per simboleggiare lo straniamento e allo stesso tempo l’esigenza umana di guardarsi riflessi allo specchio e nelle opinioni altrui trovandovi spesso un comodo rifugio. Nulla però è mai come sembra. Come dimostra quella “n” ribaltata, che per i russi, in realtà, è una “i”. Insomma, l’incomunicabilità, o meglio la vacuità del nostro rapportarci con gli altri tramite il conformismo – abitudine amplificata dai social network – è al centro del viaggio di Miraglia alle radici dell’uomo e della sua comunicazione verbale.

L’artista come cavia da laboratorio, anzi da palcoscenico, con cui il pubblico può interagire in una sorta di “trance collettiva ancestrale”. Paroloni che volte si usano per capirsi, ancor più spesso per non capirsi. Anche per questo, Miraglia, scrittore ed ex pubblicitario che negli anni ha giocato tanto – forse, per sua stessa ammissione, troppo – con le parole, da qualche tempo si è dedicato a un progetto in cui la parola viene ridotta all’osso e poi scardinata fino al nonsense: si tratta dei suoi ditodisegni. Fulminee rappresentazioni di personaggi contemporanei o storici e momenti talvolta iconici, talvolta banali a cui Miraglia trova un nuovo livello di lettura: non c’è limite, dallo sbarco sulla Luna a Mohammed Alì, da Mussolini agli omini verdi dei semafori. Alcune delle sue opere, rigorosamente con tecnica “dito su smartphone”, come ricorda lui stesso, saranno ospitate all’interno dell’esibizione fino al 31 ottobre assieme a quelle di altri artisti: Stefano Jermini, Chloé Simonin & Margot Lançon, Valentina Stäheli e Laura Alex Stepanova.

“Dopo mesi di lockdown e limiti pubblici, desideravo tornare sul palco – spiega Miraglia –. E farlo per dare vita a un atto immaginifico che ci riporti ai primordi dell’umanità. Io mi reputo un sopravvissuto all’ondata Covid. Un ferito. Porto segni silenziosi e anche una barba da naufrago che forse taglierò dopo la performance svizzera. Me ne sono stato rinchiuso in un monolocale di Milano, in quella che in quelle settimane assurde ho ribattezzato Zombardia. Più stavo rintanato lì, più avevo voglia di rivivere emozioni condivise su un palco”.

Durante la performance Miraglia verrà accompagnato – e in qualche modo dilatato – dal synth, dai campionamenti e dalla drum machine del musicista Geppi Cuscito dei Casino Royale. “Ho voluto creare maschere con il mio volto da distribuire al pubblico per regalare loro un anonimato. Maschere che saranno parti di me, ma indipendenti da me. Alter ego in cui posso rivedere il meglio e il peggio di ciò che sono”. Un modo per richiamare la frammentazione dell’io interiore, ma anche esteriore, in un mondo in cui spesso siamo una persona su Instagram, una su Facebook, un’altra ancora nella realtà. “Chiederò al pubblico di collegarsi al suono primordiale, scomposto, nascosto. Di cercare tra il diaframma e la gola suoni, versi, mantra, parole, osanna e insulti che da un microfono ambientale arriveranno al mixer, diventando così parte mutevole della colonna sonora della performance”.

Ascoltandolo sembra un po’ di ripercorrere “Le vie dei canti” degli aborigeni australiani raccontate da Chatwin, pare di vedere il misterioso monolite e l’osso volante che si fa astronave di “2001: Odissea nello Spazio”. Un eterno richiamo a ciò che eravamo in origine e – sotto la coltre di parole e tecnologia – siamo ancora.

“Interagirò con il pubblico sciamanicamente, cercando di perdere la mia forma mentale, la mia forma di uomo, per divenire espressione di ciò che sono e faccio. Capotribù e allo stesso tempo agnello sacrificale “di un rito di gruppo in cui ripercorrerò il percorso della umanità dai primordi a oggi, partendo dalla domanda: Perché siamo conformi? Perché aderiamo a delle opinioni perlopiù tratte da entità gerarchicamente superiori, politici in primis? E perché queste opinioni ci mettono spesso contro altri gruppi umani solamente perché hanno un’idea diversa dalla nostra?”.

Fare tutto questo in Svizzera ha un significato ancora più importante per Miraglia: “Questa è la patria del Cabaret Voltaire, il luogo che diede spazio dal 1916 a tanti sopravvissuti e traumatizzati della Grande Guerra portando alla nascita del Dadaismo. Lì c’è stata la fusione tra vita e arte”.

A questa tende Miraglia con il suo Iиstaиt Shamaи: “Chiederò alla gente di accompagnarmi in un percorso dagli albori dell’umanità che mi porti all’espressione più irrazionale, pura e liberatoria”. Non un richiamo alla mitologica età dell’oro o all’età della pietra. Piuttosto un ritorno a una sorta di big bang dell’uomo in quanto essere puro, “a un luogo dove il silenzio vince sul canovaccio mediatico a cui ci sottoponiamo oggi, che genera solo rabbia, arroganza, sarcasmo, asserzione, opinioni a senso unico a cui tutti noi veniamo sottoposti e vessati, come soggetti passivi di un assetto sociale in cui il più forte prevale e fa di tutto per metterci in soggezione, incasellarci”. Insomma, un inno alla libertà.

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