Arte

Quando poesia e arte si incrociano e lasciano un segno

Samuele Gabai racconta il suo progetto‘“Quaderni in Ottavo’, con incisioni che si alternano a testi inediti di poeti contemporanei

6 luglio 2020
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Hanno ancora il profumo dell’inchiostro calcografico gli ultimi tre ‘quaderni’ per bibliofili pubblicati dalle Edizioni Hic et Nunc: un lavoro raffinatissimo in cui due esperienze di vita con due comuni passioni – poesia e arte – si incrociano e lasciano un segno del loro incontro. Ne è ideatore e curatore l’artista Samuele Gabai che giunge con questa alla sua terza edizione di “Quaderni in Ottavo”: ognuna delle quali è composta da tre eleganti libretti in cui, alle incisioni dello stesso Gabai, si alternano tre o quattro testi inediti di poeti contemporanei: con uno sguardo che si allarga dal Ticino alla vicina Italia, e che alle voci maschili ne accosta di femminili: da Anna Ruchat ad Antonio Rossi, da Franca Grisoni ad Alberto Nessi, da Antonella Anedda a Fabio Pusterla, Enrico Testa, Marco Ceriani e Sergio Givone.

Come nasce questa raccolta?

È un portato dell’attività incisoria ed è incominciata nel 1975 con ʻStabat Materʼ. Prima che iniziassi questa serie ho pubblicato edizioni bibliofile varie e libri d’arte con testi poetici. Con Antonio Rossi, nel 1989 realizzai il mio primo libretto calcografico, ʻGlyphéʼ; seguito poi da altri con testi di poeti quali Gilberto Isella, Giovanni Testori con ʻSegno della gloriaʼ, Leopoldo Lonati, Silvana Lattmann, Sergio Givone con ʻQualchecos’altroʼ, Mario Luzi, Dieter Schlesak e Alessandro Rivali.

Come sceglie i poeti?

Ho sempre amato leggere poesie, ho anche una discreta raccolta di testi poetici. Quanto agli autori c’è per me quasi sempre un rapporto umano, empatico, legato anche al loro interesse per l’arte visiva e il mio per le loro poesie. Per esempio, di Franca Grisoni avevo letto ʻCrus D’Amurʼ, scritto sull’opera dell’amato pittore Romanino; Antonella Anedda, apprezzata per l’opera poetica sua, mi è poi risultata anche laureata in storia dell’arte. I poeti sono assolutamente liberi di scegliere i loro testi inediti, anche indipendentemente dai miei lavori; da una parte le mie incisioni, dall’altra le loro poesie. Ed è per questo che ogni quaderno è sempre firmato dai due autori.

Perché l’incisione?

Viene da lontano. Risale al tempo dell’Accademia, a Brera (1969/73). È sempre stata una tecnica che mi “confaceva”, non certo per la “moltiplicazione dell’immagine” che questa tecnica permette, ma per la qualità del segno grafico, unico in sé, materico, un micro bassorilievo; qui il segno esce davvero dalla carta e può avere una forza tutta sua.

C’è un rapporto tra testi poetici ed incisioni?

Le immagini non sono illustrazioni per le poesie, sono precedenti ad esse, a volte anche di molto tempo. Credo sia un aspetto molto importante perché l’atonomia tra i due linguaggi, esclude l’intenzionalità di un “progetto-oggetto”; in questo caso il “Quaderno in Ottavo” è un’opera d’arte sinestetica - termine un po’abusato ma efficace - fatta di poesia e immagine. Naturalmente le immagini vanno viste e le poesie lette, è impossibile spiegare il sentire. Per esempio, Enrico Testa quando venne in studio si disse interessato alle mie ʻMater Matutaeʼ. Quando mi mandò le sue poesie impiegai un attimo a scorgere la sotterranea relazione con il mio immaginario, che poi mi si palesò attualissimo. Il nome di Davi Kopenawa, sciamano, poeta e cuore dell’ Amazzonia, accostato alle mie ʻGrandi Madriʼ è attuale, pensando al dramma brasiliano. Per ʻRuneʼ l’immagine della ʻCrapaʼ (un mio titolo ricorrente che sta per capo, cranio) del ‘99 corrisponde al senso della poesia: siamo tutti unici e irripetibili, anche se sommersi.

Un’edizione per bibliofili, impressa su carta in puro cotone, in trentacinque esemplari numerati di cui solo venti disponibili,oggi ha ancora senso?

La composizione del testo in carattere Garamond e la stampa tipografica sono di Rodolfo Campi. L’indispensabile Giuseppe De Giacomi ha stampato le immagini in calcografia, le copertine in serigrafia e curato la confezione presso la stamperia Hùrdega di Locarno. Ogni quaderno contiene quattro acqueforti. Oltre alla poetica e al concetto, c’è un gran lavoro artigianale, come ai tempi di Gutenberg. Sono rimasti in pochissimi professionisti a poter esercitare la stampa a caratteri mobili. Un tempo la bibliofilia era d’interesse diffuso anche fra persone meno abbienti; oggi langue ma non è scomparsa. C’è chi guardando un’immagine (quadro, disegno o incisione) nel PC pensa di conoscerla realmente, ma ha visto un falso. L’opera va vista dal vero – l’hic et nunc , il qui e ora – per scoprirne la qualità, il come è fatta, (il linguaggio) e il cosa (il senso). Credo che valga anche per la scrittura, un libro bello non è lo stesso in fotocopia.

Dietro ci sta un grande lavoro, un impegno e dei costi non indifferenti, ci si potrebbe chiedere se valga la pena…

Vero, me lo chiedo anch’io spesso, non lo so, li trovo belli e mi piace anche il lavoro con i collaboratori. È una chimera? Riguardo alla bellezza, rispondo con la frase di Albrecht Dürer “… cosa sia non so, quando c’è la vedo” e la poesia, quando è tale, aiuta…

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