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Alberto Nessi, letture e riflessioni dall'autoisolamento

"Se devo scegliere un libro non prendo il romanzo che ha vinto l’ultimo premio letterario o che scala le classifiche, ma allungo la mano verso gli ultimi scaffali"

4 aprile 2020
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In tempo di crisi spesso vien fuori la verità. Anche in letteratura. Per esempio, quei romanzi che non sanno di niente, palestra di sfoggio per chiacchiere e bello scrivere, in tempo di crisi vengono smascherati senza pietà. Non c’è più tempo per l’esibizionismo. L’ora è tarda. Sento, qui in casa, il rumore di un passo che sembra avvicinarsi, sarà qualcuno che viene a trovarmi? Poco probabile, vivo anch’io relegato, come tutti. Forse è la paura che bussa alla porta.

Altro esempio: le poesie che suonano come campane fesse ora è meglio lasciarle perdere, perché vien fuori la verità e non abbiamo tempo per loro. In questi giorni tutto è rallentato e, insieme, accelerato. La vita frena il suo ritmo e la morte va più in fretta, dobbiamo dare importanza all’essenziale e buttare via il superfluo. Non solo nella vita pratica ma anche in quella dello spirito. Anche in letteratura.

Se devo scegliere un libro non prendo il romanzo che ha vinto l’ultimo premio letterario o che scala le classifiche dei libri più letti, ma allungo la mano verso gli ultimi scaffali e pesco uno scrittore trascurato, un gioiello dimenticato. Magari un classico. Perché non rileggere i ‘Promessi Sposi’, se possibile con il suo naturale complemento, la ‘Storia della colonna infame’ che ci parla della terribile peste scoppiata a Milano nel 1630? E poi: chi ha detto che bisogna leggere solo romanzi? Ci sono anche i racconti: bellissimi quelli di Anton Cechov, o di Raymond Carver. Ci sono i saggi di sociologia, di storia, di materie scientifiche.

Bazzicando fra i miei libri, oggi mi è venuto tra le mani un saggio di Zygmunt Bauman. Titolo: ‘L’arte della vita’. Chissà che cosa intende il sociologo per arte della vita, sono proprio curioso di saperlo, sicuramente ha qualcosa da insegnarmi. Apro e mi capita sotto gli occhi l’epigrafe: “Non sei una monade isolata, ma una parte unica e insostituibile del cosmo. Non dimenticarlo, sei un elemento essenziale nel groviglio dell’umanità” (Epitteto, Manuale). Non è forse, questa del filosofo antico, una frase che vale tutti i premi letterari?

Poi sfoglio e, a caso, leggo che quella del nostro tempo è “un’ ideologia a misura della nuova società di consumatori. Essa presenta il mondo come magazzino di potenziali oggetti di consumo e l’esistenza individuale come perenne ricerca di buone occasioni, indica il suo scopo nella massima soddisfazione del consumatore e il successo nella vita come accrescimento del valore di mercato dell’individuo”.

Valore di mercato dell’individuo! Bauman mette il dito nella piaga e mi fa riflettere: siamo forse al mondo per essere merce?

Una cosa che vorrei fosse cambiata in questa società, quando l’epidemia ci lascerà in pace e potremo riprendere a ragionare, è proprio questa: smetterla di considerare l’uomo in funzione del mercato. Vorrei vivere in una comunità di uomini e donne che valgano per sé stessi, e non essere una delle rotelle che alimentano il Pil: è un’utopia?

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