Arte

Arte e immaginario svizzero: dal sublime all’universale

Fino al 28 luglio, il Museo d’arte della Svizzera italiana al Lac di Lugano ospita i capolavori della Fondazione Gottfried Keller

Giovanni Segantini, 'La vita', 1896-1899 © MaSi
26 giugno 2019
|

Già è stato scritto su questo giornale quando, dove e ad opera di chi è stata costituita la Fondazione Gottfried Keller e con quali fini; in altre parole la sua storia. Vogliamo invece adesso toccare alcuni aspetti della sua specificità.

Costituita nel 1890, essa inaugurò la sua politica di acquisizione (che continua ancor oggi) nel 1891 con il doppio scopo di “esser utile alla patria” al fine di salvaguardarne il patrimonio artistico e, conseguentemente, di “destare e coltivare il senso del bello e del nobile.” A parte la criticità di quest’ultimo obiettivo se rapportato alla concezione dell’arte nel nostro tempo, dietro quello di “utilità per la patria” si leggeva l’intenzione di mettere insieme una collezione che consentisse non solo la conoscenza, ma anche l’identificazione e assimilazione – in quanto atto di specchiamento – della storia e del patrimonio artistico svizzero come elementi fondanti nella costruzione di un’identità nazionale.

L’obiettivo sotteso era che quelle opere, alcune più di altre – per quanto tutte facenti parte a pieno titolo del nostro patrimonio artistico e culturale –, entrassero a far parte dell’immaginario svizzero come pietre fondanti di una identità nazionale tipicamente ottocentesca (ma che per molti rimane sostanzialmente vera anche oggi) basata su usi, costumi e tradizioni, sulla bellezza sublime dei suoi paesaggi alpini e lacustri, le sue mitiche montagne, la vita di duro lavoro nei campi, nei boschi o sugli alpeggi.

Come non pensare ad Albert Anker con la serie di vecchi e bambini intenti alla lettura o al naturalismo di Robert Zünd e Rudolf Koller con scene di vita contadina, animali al pascolo, momenti di lavoro o di riposo? Per salire poi ai grandi paesaggi alpini di Wolf, alle pianure tempestose di Frölicher, ed infine alle sublimi montagne di Calame.

Fra i protagonisti: Segantini e Hodler

I vertici di tale percorso restano comunque Segantini e Hodler. In particolare quest’ultimo – per la grande varietà dei suoi temi e soggetti, da quelli storici a quelli paesaggistici, oltre che per la sua intrinseca e moderna qualità pittorica – è giustamente considerato il pittore nazionale svizzero per eccellenza.

In mostra i due si fronteggiano: da una parte e in tutta la sua magnificenza, il grande trittico di Segantini, vero faro della rassegna luganese, depositato a St. Moritz come in un Sacrario. Il paradosso sta nel fatto che quell’opera è frutto di un apolide che aveva eletto la Svizzera come sua patria adottiva, ma che la Svizzera, allora, non aveva accolto come un suo figlio. Di fronte a lui, il grande Hodler, quello delle allegorie simboliste, ma anche dello stupendo lago di Ginevra visto da Chexbres cui, idealmente, aggiungiamo la stupenda serie delle montagne svizzere, dipinti tutti basati sul principio compositivo della simmetria o del parallelismo, sempre più o meno appariscente.

Tali principi non miravano solo a una ordinata composizione formale del dipinto, ma erano anche lo specchio di una proiettiva immagine del mondo fondata sull’ordine e l’equilibrio, segno visibile di un’unità cosmica interna a tutte le cose. Che poi, di fatto, dipinge sempre separatamente: di qua gli uomini e la storia, di là le montagne e i laghi.

Se con il suo celebre Boscaiolo (Le Bûcheron) Hodler celebrava le virtù di un popolo alpigiano e rude, abituato a confrontarsi con una natura non facile e per questo dotato di forza e volontà tali da saper costruire anche una sua storia e la sua patria (il mito di Guglielmo Tell); quando dipinge paesaggi alpini o lacustri, Hodler non mette in scena uomini ed animali, isola l’osservatore e lo colloca su una soglia suggestiva di contemplazione e silenzio: tra un di qui e un di là, un altrove.

Non così Segantini che infonde invece nella sua arte l’aspirazione a un totale armonico rapporto tra uomo, natura e cosmo. Egli cala nella sua pittura l’anelito a ritrovare la pienezza di un eden perduto nella comune e fraterna convivenza, per quanto faticosa, che lega uomini ed animali dentro il grande abbraccio delle montagne investite dalla luce. La sua visione va oltre il sublime e tende così al cosmico, all’universale.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE