Culture

Cento donne, un solo corpo

Agata, 60 anni
11 luglio 2017
|

Sarà capitato a molti, al primo sguardo su uno sconosciuto, sui dettagli del suo aspetto esteriore, di immaginare la sua quotidianità, il suo mondo interiore, tutta la sua storia. Se poi, in un altro luogo e in altro momento, l’immagine dell’altro si duplica, lasciando emergere altre sfumature, complementari o contraddittorie, il gioco si fa più straniante. In fondo, ogni giorno, riveliamo molto più di quello che vorremmo, nonostante le dissimulazioni dietro cui celiamo le parti più vulnerabili di noi, forse più vere.

Può darsi di pensare a qualcosa di simile davanti alle immagini di ‘Io sono un’altra – 100 e oltre performance private’, il progetto di Camilla Parini aperto ieri a Villa dei Cedri a Bellinzona, nell’ambito del festival di teatro Territori. Diplomata in teatrodanza alla Scuola Paolo Grassi di Milano, Camilla tre anni fa ha realizzato ‘Still Leben’, uno spettacolo in cui provare a riflettere sulla molteplice figura della donna oggi. Da quella esperienza, dall’esigenza di scoperta che ha stimolato, è partito quest’altro progetto, che finora l’ha portata a incontrare 83 donne dai 12 ai 93 anni.

Ora è iniziata la parte ticinese della sua ricerca, in cui si propone di entrare nei panni di 100 donne. I primi 25 ritratti sono appunto quelli esposti a Bellinzona. A proposito, nelle didascalie delle immagini non c’è alcun errore: quelle sono Mimi e Anita e tutte le altre, incarnate però da Camilla. In sostanza, ogni donna si racconta attraverso due ritratti, due immagini autentiche di sé, ma per comporli si serve del volto e del corpo della performer ticinese, un vero e proprio strumento nelle sue mani.

Al primo sguardo, ci è parsa un’idea del tutto originale. E il risultato si conferma piuttosto suggestivo, nonostante si percepiscano alcune disparità nel coinvolgimento da parte delle donne (auto)rappresentate. L’ideatrice non lo nega, ma in fondo anche l’eventuale reticenza è da considerarsi come un modo personale di raccontarsi.

Abbiamo ripercorso con Camilla la sua idea, la cui realizzazione si completerà nel 2018 (dopo aver trovato altre 75 donne in Ticino): «Lo spettacolo di tre anni fa era una riflessione sulla figura della donna da un punto di vista intimo, non culturale né sociale né politico: la donna che guarda se stessa. Mentre ci lavoravo ho sentito il bisogno di confrontarmi con altre donne. L’idea iniziale era di andare a casa loro, intervistarle, fare delle fotografie o delle riprese video, ma mi sono accorta che in così breve tempo era difficile non rimanere in superficie. C’era la difficoltà di riuscire a raccogliere qualcosa di più. Così ho tolto le parole, chiedendo alle donne di raccontarsi».

Cioè: «Vengo a casa tua e ti chiedo di ricreare due autoritratti che ti raccontano. Ma in questo modo: lo fai su di me, in modo da avere una distanza e più oggettività, e in modo da osare di più, perché letteralmente la faccia ce la metto io».

Come trovare le donne? «È la parte più difficile, culturalmente non siamo abituati ad aprire casa nostra a degli sconosciuti. E io non solo ti chiedo di entrare, ma per di più di indossare i tuoi vestiti, di pettinarmi, di truccarmi... Perché tutto accade con cose di loro proprietà».

Ecco, come spiegare loro il perché? «Mi rendo conto che la mia è una ricerca, un bisogno di raccontare storie, le storie di tutti, con un linguaggio diverso. In realtà questa non è la mia mostra ma la loro, perché queste immagini sono una loro opera d’arte e sono le loro storie. Sia io che la fotografa siamo dei veicoli per far sì che loro possano raccontarsi. Oltre che un discorso sull’identità personale, diventa un progetto nel progetto, diventa forte quando vedi tanti ritratti di tante donne nello stesso corpo. Idealmente vorrei andare avanti per anni, raccogliere ritratti di donne di ogni cultura e unirli in quest’unico corpo».

Già, ma quello che fa Camilla in che relazione è con il teatro? «Me lo sono chiesto anch’io. Io considero questo progetto come una costellazione di performance private. Quello che accade con le donne sono degli atti creativi unici, che avvengono in quel momento e non vengono condivisi con un pubblico, ma documentati. Io non interpreto un ruolo, non sto recitando la loro parte, però vesto i loro panni e a volte è successo che loro facessero delle vere e proprie piccole regie con me, per ricostruire delle situazioni di vita loro. C’è in questo tutto un discorso relativo alla rappresentazione, al rappresentarsi, al racconto di una storia che credo abbia a che fare con il valore del teatro».

(Nella galleria fotografica una selezione delle prime 25 donne ticinesi “incarnate” da Camilla Parini, in mostra a Villa dei Cedri)

 

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔