Culture

Litfiba a Bellinzona: bentornati ragazzacci

10 luglio 2017
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“Ragazzaccio è sinonimo di rocker. Chi ha il coraggio, lo spirito, l’autoironia di viversi la vita in maniera rock come facciamo noi, può rientrare nella categoria. Si può essere anche ragazzacci dal cuore d’oro, perché non c’è da andare in giro a sfasciare vetrine…”. È il Litfiba-pensiero raccolto alla fonte. La premiata – e riunita – ditta Pelù-Renzulli, nelle segrete stanze della Rsi qualche giorno fa, ha aperto le danze dell’”Eutòpia Tour”, a Bellinzona lunedì 31 luglio in Piazza del Sole (biglietteria.ch). A sinistra un generoso Pelù, vestito (e tatuato) da Pelù. A destra, il Renzulli con cappello da Renzulli. Hanno parlato di Italia, Svizzera, mafia, musica, guerre, generazioni, talent ed erba, detto in estrema sintesi. Lo hanno fatto partendo da “Eutòpia” (posto di ideale benessere con riscontro nella vita reale, in opposizione con l'impossibilità propria dell'utopia, ndr), concetto che dà il titolo all'ultimo album: «È un tentativo di programmare una società dove ci siano opportunità per tutti – esordisce Pelù – dove la competizione violenta non ha ragione di esistere. Eutòpia, al contrario di utopia, già c'è, i bei luoghi ci sono. La Svizzera in questo senso è un potenziale stato eutopico». Annuisce Renzulli, parlando di democrazie del nord Europa, di Canada, per finire in Italia, dove «da anni si parla tanto, ma le cose, invece che migliorare, peggiorano».

Ogni nuovo album porta nuovo pubblico a Litfiba. «Ho conosciuto molti 18enni, 19enni, fans dell’ultima ora che hanno iniziato da “Eutòpia” per poi scoprire le cose precedenti» dice Renzulli. Su qualche vecchio fan, che rivendica una certa esclusività, Ghigo sostiene che «tutti hanno uguali diritti». E il bilancio di «quanto tempo è passato» dice di farlo ogni volta che guarda sotto il palco, durante i concerti, dove ad ascoltarli ci sono «almeno 3 generazioni». La scena più bella la descrive Pelù: «Ad Assago è partita “El Diablo” e un padre si è inginocchiato davanti al figlio, un bimbo di sette, otto anni, facendo il gesto delle corna con la lingua di fuori!». Ride di gusto, il Pelù, e il cuore con le corna appeso al collo oscilla al tempo del suo divertimento. «Ecco, sarebbe bello che molti genitori invece di mollare i propri figli tutto il giorno davanti alla tv si rimboccassero le maniche, gli leggessero dei libri, gli parlassero, li portassero in giro».

Chiediamo di “Maria Coraggio”, una di quelle canzoni che valgono il prezzo del disco. Maria è Lea Garofalo, testimone di ‘ndrangheta che ha pagato con la vita la ribellione al clan familiare. «È Maria e non Lea perché Maria è il nome della donna per antonomasia» dice Piero, «e anche quello della donna che soffre», aggiunge Ghigo. Chiediamo loro se le commemorazioni di chi ha dato la vita per la libertà siano davvero un riconoscimento al coraggio e non, invece, la constatazione che lo stato ha fallito. Pelù risponde citando «il grande Gratteri (Nicola, procuratore di Catanzaro, ndr) uno al quale lo Stato dovrebbe fare un monumento in vita». Quello stato che secondo il ragazzaccio Piero «è composto di due anime, una trasparente che crede nella giustizia e un’altra imbruttita dal potere, dai soldi, dai voti di scambio, l'anima che più preoccupa noi cittadini liberi e pensanti». Con i toni del buon politico, Pelù arringa la folla: «Dopo Duisburg, è importante per tutti gli stati europei, Svizzera inclusa, domandarsi a che livello è l'infiltrazione mafiosa sul territorio. Vi invito a tenere l’attenzione altissima».

 

A tornate alterne, tra un massimo sistema e l'altro, la musica. «“Eutòpia” è nato chitarra acustica e voce», racconta Ghigo. «Ci siamo trovati io e Piero, abbiamo messo sul piatto le nostre idee e abbiamo costruito le canzoni finché non funzionavano. Solo dopo siamo entrati in studio». Una vecchia abitudine, tanto apprezzata: «Scrivere chitarra e voce – dice Pelù – ti mette di fronte ai fatti, non puoi bluffare». Esattamente come sul palco dell'Eutòpia Tour, dove «non ci sono sequenze, non abbiamo computer, comprese le immagini che vengono interpretate live dal nostro regista. È uno spettacolo che ogni sera cambia» dice Renzulli, che in questi Litfiba vede «una delle migliori formazioni di sempre» e un bel «passo avanti nel suono». Come nella canzone “In nome di Dio”, per entrambi «una nuova frontiera, che abbiamo definito “etno-metal”». Spesso ricondotto alla strage del Bataclan, il brano si riferisce un terrorismo dalle origini più lontane nel tempo: «Al Bataclan ci abbiamo suonato – dice Pelù – e ci siamo sentiti assolutamente coinvolti. Ma il pezzo era nell'aria da prima».

 

«Volevo parlare di un terrorismo nuovo, che stava arrivando anche da noi» spiega Pelù. «A Kabul si muore da più di 20 anni, a Baghdad pure, a Damasco, a Beirut. Quando poi le cose succedono anche qui, si toccano con mano i danni che l’uomo occidentale ha fatto in Asia, Africa, Medio Oriente, per lo sfruttamento delle energie, petrolio, diamanti, oro, materie prime». Di terrorismo si parla anche in “Santi di periferia”. Un verso recita “Siamo il mostro che avete creato, la canaglia che presenta il conto”. Ancora Pelù: «Quando le banlieue francesi si stavano infiammando, invece di capire il disagio, Sarkozy alzò un muro, chiuse il sistema dei servizi sociali, che erano la spia del disagio. Quel disagio abbandonato a sé stesso ha partorito i foreign fighters». A proposito di capi di stato, per loro ce n'è anche in “L’impossibile”, primo singolo dell'album (“Ai potenti della guerra io farei fumare un po’ di erba”). Sempre Pelù: «I metodi per combattere l’arroganza del potere sono tanti, l’ironia, la provocazione. L'artista dev’essere un po’ provocatorio, un po' pericoloso, sennò fa musica di sottofondo. E i Litfiba non hanno mai fatto musica di sottofondo».

 

Torna la musica. “Eutòpia” è la summa del suono di Litfiba, che nasce dagli anni 80, durante i quali «era più facile muoversi, le case discografiche erano ancora disponibili ad ascoltare quello che arrivava dal basso» dice Ghigo. Piero: «oggi c’è tanta roba underground che le radio non passano e che alle major non interessa, perché sono occupate a fare cassa. Per fortuna ci sono ancora tante etichette indipendenti. Devi crederci, devi fare tante date nei pub, devi farti il pubblico come abbiamo fatto noi, mattone su mattone, canzone su canzone. Uno che è esploso così, di recente, è Brunori Sas. Ma posso fare l’esempio dei Pan del Diavolo, un duo di Palermo che ha un suo mondo di musica e poesia molto interessante». Riassumendo: «siamo figli di un’epoca di marchi, nonostante il “No logo” (saggio di Noemi Klein pubblicato 2000, ndr) abbia aperto gli occhi a tanti. L’unico consiglio per gli esordienti è di avere costanza, di far parlare di sé non soltanto per la musica, ma anche per le idee».

Ricordi di Bellinzona ‘97? «Su quel palco c’erano pure Emerson, Lake & Palmer – dice Pelù – fu un tour un po’ particolare, perché per la prima volta inserimmo l’elettronica. Erano gli anni del trip-hop, ci eravamo allontanati dal grunge di “Spirito”, dal post-punk di “Terremoto” e dal latin-metal del “Diablo”. Fu una tournée molto bella…». Renzulli commenta con un «Fu dura...», ma non è dato sapere se si riferisca all'aria pesante che di lì a due anni avrebbe portato i due alla scissione. Acqua passata.

Elogiato il pubblico svizzero – che, parola di Pelù, «si sa divertire molto bene senza esagerare, sinonimo di una cultura avanzata» – lasciamo i Due di Fiesole alle interviste radiofoniche. C'è tempo per un ultimo momento di puro spasso. «Cosa porteremo a Bellinzona? Di sicuro non mi porto l’erba» dice il cantante. Gli fa eco il chitarrista: «non so se la frontiera è cambiata di recente, ma a noi in Svizzera ci hanno smontato l’auto una decina di volte...».

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