Culture

Combattere l’assistenzialismo

Il volontariato permette ‘lo scambio, la nascita di nuove amicizie, la condivisione... cibi del lato umano’
29 marzo 2016
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Per il mondo con le Ong 2 / Con Richard Haeni andiamo in Argentina, dove opera Ines

Incontri ed esperienze che cambiano la vita e fanno nascere progetti di sostegno e formazione, che concretizzano la speranza di un futuro più dignitoso

Ines è il nome dell’organizzazione non governativa che opera in Argentina da circa dieci anni; il suo nome ha una duplice ragione: «Così si chiama la suora conosciuta durante il primo viaggio che ci ha ispirati con il suo amore verso il prossimo», racconta Richard Haeni. Ma Ines è anche, forse soprattutto, acronimo dei quattro punti cardinali dell’associazione: Incontro, Nascita, Emozioni, Speranza. Un pomeriggio incontriamo Richard che, oltre a ricoprire la carica di presidente dell’Ong, è insegnante di matematica e dottorando in storia a Basilea: a lui chiediamo di raccontarci l’associazione. Ines è giovane! Il suo comitato è composto da quasi trentenni e, ad oggi, conta cinque membri (non retribuiti) in compagnia di circa 120 soci: «Aconfessionale e apartitica», vede metaforicamente la luce nell’ottobre del 2005. Un’iniziativa spontanea nata dopo l’esperienza di un mese di volontariato a Merlo (città nella periferia di Buenos Aires), organizzato dalla Conferenza Missionaria della Svizzera italiana e vissuto anche da quel gruppo di giovani «favorevole alla costituzione di un’associazione di aiuto. Un impulso dato dal confronto di forte impatto con la realtà di disagio», che non ha lasciato spazio all’indifferenza. «Il senso pressante di giustizia sociale ha acceso la scintilla di Ines, che, nel suo piccolo, cerca di cambiare alcune situazioni di malessere sociale, cercando di migliorarle con interventi puntuali… Perseguendo ideali di uguaglianza, giustizia a tutela della dignità umana». I progetti «partono dai bisogni delle comunità», dal confronto con chi vive la realtà, prendendo quale punto di partenza per la loro concezione quanto emerge da analisi e discussioni, e si concentrano su bambini, adolescenti e giovani adulti, promuovendo educazione e formazione professionale, senza dimenticare sostegno psicologico e sociale. La realtà sociale e giovanile, in particolare in alcune zone, è molto dura: «I ragazzi sono lasciati a loro stessi; spesso vivono in famiglie numerose, senza una figura paterna o, quando ci sono, con genitori con problemi d’alcolismo oppure violenti». L’intervento per e con i ragazzi è dunque necessario, affinché abbiano la possibilità di affrancarsi da un circolo vizioso e pensare al proprio futuro.
Il progetto in corso è la “Panadería del Isauro”, nel quartiere di San Telmo a Buenos Aires, cui Ines ha iniziato a interessarsi entrando in contatto con il Centro Educativo Isauro Arancibia, grazie al lavoro svolto da un’antropologa, ingaggiata affinché trovasse un progetto cui partecipare. «L’atelier di panificazione era già avviato dal Centro Educativo: un corso per giovani (dai 15 ai 30 anni) che vivono situazioni di strada (spesso senza documenti, confrontati con la violenza e l’illegalità; oppure alle prese con lavoretti saltuari) non hanno mai avuto l’occasione di frequentare la scuola primaria. L’idea è stata ampliare l’offerta, anche grazie alla voglia dei ragazzi di poter fare e imparare di più». Attraverso il progetto si vuole trasmettere regolarità nella frequentazione, puntualità e responsabilità verso gli impegni presi: «Bisogna insistere molto, seguirli e spronarli». Dopo, però, arrivano anche i motivi di soddisfazione: i ragazzi sono contenti (inviano fotografie e scrivono messaggi) e, anzi, avrebbero il desiderio di poter fare di più. «In particolare, questo progetto funziona molto bene: propone un servizio di catering, richiesto anche da istituzioni che organizzano eventi». Questa dinamica è molto importante affinché si raggiunga «l’obiettivo di sviluppare un progetto d’impresa che non faccia leva sul pietismo»; dinamica dalla quale i ragazzi devono liberarsi. Professionalità è quindi la parola chiave nella politica del progetto, che ha come punto di arrivo (ma insieme di partenza) lo sviluppo di una concezione di micro-impresa. Affinché i progetti ottengano dei risultati, è necessario sviluppare dei partenariati ed è quindi importante instaurare legami basati sulla fiducia, anche se inizialmente non è evidente: «Il rapporto di fiducia si costruisce col tempo. All’inizio, c’era molto scetticismo da parte dell’attuale partner locale: non riusciva a capire come mai un’istituzione straniera volesse investire così tanti soldi in un loro progetto, si chiedevano il perché e se non fosse una maniera per riciclare denaro o addirittura per avviare una tratta di bambini… Questi i principali motivi di dubbio; probabilmente dovuti ad esperienze». Una volta guadagnata la fiducia è possibile avviare il progetto: «Alla base, v’è l’idea di lavorare con metodo partecipativo, non mettiamo i soldi e basta, ma cerchiamo di svilupparlo in comune», seguito, nelle sue fasi, da una persona sul posto (come ponte fra partner locale e Ong svizzera), indispensabile per gli aggiornamenti, nonché la coordinazione.
Provocatoriamente, proponiamo la questione del colonialismo, consapevoli di usare una parola greve, cui aggiungiamo l’aggettivo umanitario. Partiamo dall’idea che la promozione di progetti possa comportare l’esportazione, seppur involontaria, di modelli occidentali che possono avviare uno scardinamento culturale: Ines come si pone rispetto a ciò? «È una riflessione che ci ha accompagnati e tuttora ci accompagna. Il termine colonialismo continua a tornare e “tormentare”: uno dei nostri timori, che non vorremmo si avverasse, è cadere in quella logica. Penso, però, che la cooperazione allo sviluppo, seppur figlia del colonialismo di ieri, cerchi oggi di ovviare al rischio creando collaborazioni paritarie fra Ong e partner locali; quindi privilegiando partecipazione e collaborazione, mostrando sensibilità e rispetto vicendevoli, affinché l’incontro-scambio sia costruttivo» e persegua il fine dell’autonomia e dell’autosufficienza, smontando i meccanismi dell’assistenzialismo! Il lavoro svolto in Argentina è portato in Ticino in momenti di sensibilizzazione diversi: «Partecipiamo ad attività di altri enti (come il Festival Raíces dell’associazione Camino Cultural); oppure organizziamo eventi, come concerti e corsi di cucina argentina. Ovviamente, ci piacerebbe poter fare di più, magari proponendo attività nelle scuole». Per chi fosse interessato a Ines e al suo lavoro, consultando la pagina Facebook dell’organizzazione o il suo sito internet (www.associazioneines.ch) si trovano informazioni complete sull’Ong, come sostenerla e partecipare al suo calendario, nonché fotografie e resoconti.

 

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