Culture

Suonala ancora, Joe

10 marzo 2016
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“Salve, sono l'artista di spalla, la band arriva tra poco, tranquilli”. British in tutto, incluso l'umorismo, così apre Joe Jackson al Teatro dal Verme di Milano, lo scorso martedì. La stessa ironia di una ventina d'anni fa, quando allo Smeraldo (oggi negozio di alimentari) presentava lo strumentale “Night Music”, e annunciandone un corposo estratto consigliava ai fans “se volete andare a farvi una birra, questo è il momento giusto”.
Tendone a balze alle spalle e custodie vuote in funzione arredamento d'interni, Joe siede davanti a un digital piano con tastiera aggiunta. Aggiunti sono pure una sciarpa della squadra del Portsmouth, sua città natale, e un cilindro dal quale – di lì a mezz'ora, devoto di Bowie - estrarrà il biglietto con “la cover del giorno”, che se a Roma fu “Life on Mars”, a Milano è stata “Scary Monsters” (come a Zurigo).

Si parte da “It's different for girls”, passando per “Hometown” (dal capolavoro “Big World”), per “Take it like a man” da “Volume 4” (2008, la Joe Jackson Band ad Estival) ed una “Be my number two” sulla quale l'artista si perde per un attimo, in cerca di una soluzione pianistica che non arriva (e che lo rende umano, di fronte a tanta perfezione). Omaggia “Big Yellow Taxi” di Joni Mitchell in modalità southern blues (“cambiarla del tutto era l'unico modo: immaginate che lei non sia una chitarrista canadese, ma una pianista di New Orleans”) prima di accendere il loop sul quale è costruita la splendida “Fast forward”, legata dalla stessa sequenza elettronica a “Is she really going out with him?” (Graham Maby, storico bassista, sul palco) e ad una nuova, sublime versione di “Real men” (Teddy Kumpel e Doug Yowell, chitarra e batteria, a completamento).

In controtendenza da sempre, impeccabile, non autocelebrativo, Joe attinge a piene mani dal nuovo cd, su tutte “Kings of the city”, l'autobiografica “Poor thing”, “The blue time” e la cover “See no evil” nei bis. Le mezze standing ovation su “Another world” e “Steppin' out” (entrambe da “Night and Day”) e “Sunday papers” (gli esordi) si realizzano per intero su “One more time” e sulla conclusiva “A slow song”, altro brano da “Night and Day” nel quale si dice che “la musica ha fascino, ma nelle mani di qualcuno diventa una bestia selvaggia”. In un teatro senza posti liberi che sta celebrando un grande, l'invito ad abbassare i toni è un grido che arriva dall'82 sino ai giorni nostri intatto ed attuale. Suonala ancora, Joe, suonaci un altro lento: mai come oggi ne abbiamo disperato bisogno.

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