Culture

Musica al ritmo televisivo

La squadra: Madalina Ghenea, Carlo Conti, Gabriel Garko e Virginia Raffaele
15 febbraio 2016
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Tele-Generazioni 3 / Carlo Conti supera la ‘maledizione della seconda volta’ con ascolti record

La 66ª edizione del festival della musica italiana, malgrado le canzoni, è riuscita a riportare la giusta atmosfera sul palco

Da almeno dieci anni sento dire dal conduttore designato, o confermato, alla guida del festival di Sanremo, che nella sua nuova edizione sarà posta al centro la musica, la gara tra le canzoni. Poi quasi sempre accade – ed è il caso della 66ª edizione – che di canzoni attorno alle quali si può costruire uno spettacolo di cinque serate ce ne siano proprio poche (quest’anno giusto un paio, le prime due classificate nella categoria nuove proposte). E allora bisogna cercare altre strade. È quello che Carlo Conti ha fatto con molta saggezza e con esiti assai felici. L’edizione del festival di quest’anno si è già conquistata un posticino nella storia della televisione italiana per diversi record: ha superato l’audience del 2015 vincendo la “maledizione” della seconda volta, ha presentato un indice di ascolto in ascesa o senza flessioni nella sequenza delle serate, ma soprattutto si è imposta all’attenzione dell’opinione pubblica con interventi, analisi e polemiche sulle pagine di molti quotidiani italiani, con una passione (talvolta un accanimento) che non si registrava da molto tempo. Ma se tutto questo innegabile successo non è nato dalle canzoni e dai cantanti in gara forse vale la pena cercare di capire attorno a quali elementi è stato costruito. A me pare ce ne siano parecchi. Il primo è il rispetto della promessa di ripartire dalla musica. A dispetto della fragilità del materiale proposto, Conti non ha mai rinunciato a cominciare dalle canzoni, nella prima serata con una bella copertina che allineava le immagini di tutti i sessantacinque vincitori delle edizioni precedenti ed entrando, in ogni puntata successiva, subito in medias res, con l’esibizione di un cantante, senza preamboli, senza chiacchiere e convenevoli. E così è andato avanti, creando un ritmo molto veloce, più veloce degli altri anni, un ritmo decisamente televisivo che ha fatto cadere l’ultimo, ormai flebile residuo di un rapporto tra palcoscenico e platea.
Sanremo è un programma tv. E allora che lo sia fino in fondo, con il pubblico in sala e gli orchestrali che diventano attori e che mai, come questa volta, hanno recitato bene la loro parte, perfettamente inserita in una ripresa avvolgente e sincopata. Certo un bell’aiuto è venuto dall’altra musica, quella non in gara, quella degli ospiti. Ma anche qui c’è stata una scelta di fondo sapiente, che ha privilegiato gli ospiti musicali rispetto agli altri. Poco spazio ai comici che a Sanremo rompono il ritmo e quasi mai fanno ridere, solo una superdiva, Kidman, e canzonette in abbondanza: Ramazzotti, Pausini, Zero, Pooh, quella musica che, come si suol dire, è stata la colonna sonora della vita di molti di noi, immersa in un’atmosfera sentimentale, un po’ come “eravamo” visto il legame dei cantanti con il festival, forse un po’ provinciale ma mai stucchevole. Ma ancor più di questa ha contato un’altra atmosfera più difficile da definire e anche da creare. È il clima simpatico, gradevole che si è costruito all’interno della squadra, tra il conduttore e i suoi partner. Ora tutti parlano delle performance di Virginia Raffaele, della sua straordinaria Fracci, ma non è stato solo questo. È l’insieme delle relazioni che ha dato vita a un racconto che si è arricchito di sera in sera e in cui ognuno ha trovato la sua parte in commedia: la valletta dal sex appeal straripante si è trasformata in una figura dolce e romantica, un valletto impacciato in un personaggio addirittura autoironico capace di sfoderare battute spiritose. Alla fine, al di là delle spiegazioni sociopolitiche forzate e delle vecchie riserve sul successo di pubblico che è sempre indice di scarsa qualità, la vittoria del festival sta proprio in questo suo tono lieve, che sarebbe un’ingenuità considerare conformista, in un tocco che ha cancellato le asprezze e le assurdità urlate nei talk italiani sulle unioni civili, trasformandole in un’immagine semplice, graziosa e televisivamente efficace: quella di un nastro colorato che volteggia sul palcoscenico tra le mani e sul corpo dei cantanti.

 

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