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Il capo dell’esercito Süssli, dal gessato alla divisa

L’ex Ceo di Vontobel a Singapore promette nuovi investimenti in Ticino e più donne tra le reclute svizzere. E difende la scelta degli F-35

(Keystone)
2 novembre 2021
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Classe 1966, Thomas Süssli non è il comandante d’esercito che ti aspetteresti: ha modi poco marziali e si esprime più come un direttore marketing che come un soldato, citando ‘Il cigno nero’ di Nassim Taleb e parlando di ‘unique selling proposition’. Più dell’esperienza nelle compagnie mobili d’ospedale e nella logistica salta all’occhio una carriera nella finanza internazionale, dal master in direzione aziendale al ruolo di Chief executive officer della banca privata Vontobel a Singapore. E se il passaggio dall’esercito alle stanze del potere finanziario è cosa piuttosto tradizionale nella ‘vecchia’ Svizzera, meno di frequente si vede chi imbocca la direzione inversa, dal gessato alla divisa. Abbiamo incontrato Süssli venerdì al Lac.

Parafrasando Kennedy non le chiediamo cosa può fare il Ticino per l’esercito, ma cosa può fare l’esercito per il Ticino.

Il Ticino è molto importante nel piano strategico svizzero. Per questo vi abbiamo investito molto in passato e intendiamo continuare a farlo. Negli scorsi anni abbiamo visto sorgere il nuovo centro logistico e quello di reclutamento, e abbiamo tre scuole reclute. In futuro vorremmo portare più soldati a svolgervi il corso di ripetizione, con un ulteriore potenziamento di caserme e infrastrutture che porterà lavoro alle imprese locali. Lo stesso farà la scelta di svolgere qui parte delle operazioni di test e di formazione dei piloti per i nuovi F-35, con l’adozione di tecnologie sviluppate anche da imprese ticinesi.

Presto dovremmo votare sulla scelta di questo modello: davvero le sue tecnologie possono essere controllate dagli Usa? Sarete burattini del Pentagono?

Qualsiasi aereo militare utilizza tecnologie americane, come il protocollo di scambio dei dati tattici Link-16 col quale i velivoli comunicano tra di loro e con le basi a terra. Lo stesso vale per l’aviazione civile. Ma gli Usa ci garantiscono la libertà di decidere quali dati comunicargli. Non si tratterà assolutamente di dati strategici come quelli di volo.

Non sarebbe meglio avere velivoli più piccoli e pronti all’impiego?

Sostenere che gli F-35 non possono essere impiegati prontamente è sbagliato. Coordinandosi col nostro sistema radar a rilevamento precoce possono intervenire per affrontare qualsiasi minaccia aerea.

Per cosa li utilizzerete?

Le forze armate svizzere devono affrontare non solo i pericoli attuali, ma anche quelli futuri. Gli F-35 ci servono per compiti di polizia aerea, per pattugliare le grandi conferenze internazionali, ma anche per proteggere la nostra sovranità e neutralità in caso di guerra in Europa o di attacco diretto al nostro territorio.

Voi stessi li ritenete assai improbabili. A che serve l’esercito in un piccolo Paese neutrale?

L’esercito rimane l’estremo strumento di difesa per la Svizzera. Inoltre il mondo sta diventando sempre più volatile, incerto, complesso e ambiguo. Nuove superpotenze come la Cina potrebbero sconvolgere l’equilibrio internazionale. Rischi e minacce richiedono ancora un esercito per affrontarle. Parliamo di pericoli assai vari, dalle pandemie ai blackout, dagli attacchi informatici alle conseguenze disastrose del cambiamento climatico.

Nel ‘sancta sanctorum’ militare lei si sente un outsider?

Non del tutto, visto che nel nostro esercito di milizia ci sono persone con esperienze e competenze davvero molto variegate. Naturalmente ho dovuto e dovrò imparare ancora molto dal punto di vista militare. Però posso apportare all’esercito le competenze sviluppate nel mondo finanziario, quali l’approccio al management e la promozione della diversità.

Eppure la presenza di donne nell’esercito è ferma all’1%.

Ci siamo impegnati a portare quella quota al 10% entro il 2030. Quest’anno a scuola reclute siamo arrivati al 2%. Occorre potenziare l’orientamento rendendolo obbligatorio anche per le ragazze. Poi è importante l’esempio delle nostre donne pilota, comandanti e divisionarie.

Una volta la carriera militare era cruciale per entrare nei Cda e nelle direzioni che contano. È ancora così?

Credo che molto sia cambiato nel frattempo. Però solo l’esercito offre una formazione pratica alla leadership: non corsi universitari o seminari aziendali, ma l’esperienza unica di trovarsi affidate decine, centinaia di reclute quando si è ancora molto giovani. Si impara così in modo concreto tutto quel che riguarda il management, dalla soluzione dei problemi alla comunicazione. Questa è la nostra ‘unique selling proposition’, l’unicità che ci distingue da tutti.

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