Ticino

‘Non stiamo immaginando il prossimo futuro’

Stefano Modenini (Aiti) è critico sulle prospettive strategiche dell'economia ticinese. ‘Energie sprecate in polemiche anti-frontalieri’

Stefano Modenini, direttore dell'Aiti (archivio Ti-Press)
30 ottobre 2020
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Stiamo attraversando un periodo veramente particolare. La crisi sanitaria del coronavirus ha un impatto sui modelli di consumo e sulla produzione che verosimilmente cambieranno la struttura economica di Stati e regioni. Il Ticino non sarà da meno. È probabile che – una volta passata definitivamente questa ondata pandemica – il tessuto economico non sarà più lo stesso. Conscio di ciò, il Dipartimento delle finanze e dell’economia ha creato la scorsa primavera il Gruppo strategico di rilancio dell’economia. Consesso formato da politici, forze sindacali e associazioni imprenditoriali. Scopo dichiarato: immaginare il Ticino economico del dopo Covid. Non si tratta di un gruppo che elaborerà misure concrete, ma dovrebbe stimolare idee e piste da percorrere per la ripresa. Gli incontri sono proseguiti nel corso dell’estate, ripresi a inizio ottobre e proseguiranno in novembre. Lavori che sono per forza di cosa condizionati dall’evoluzione dell’epidemia e dalle misure restrittive appena messe in atto per evitare, oltre al propagarsi del Covid, un ulteriore lockdown.
Nei mesi scorsi, grazie alle indennità per lavoro ridotto e ai crediti garantiti, si è attenuato il rischio di licenziamenti collettivi che non sono però esclusi. La scorsa settimana la TE Connectivity di Bioggio, per esempio, ha annunciato la chiusura dello stabilimento e la relativa cancellazione di 106 posti di lavoro. «E potrebbe non essere l’ultimo caso», afferma Stefano Modenini, direttore dell’Aiti (Associazione industrie ticinesi). «Le indennità per lavoro ridotto non sono infinite e a un certo punto gli imprenditori sono confrontati con i costi da coprire. Ci sarà una selezione per forza», commenta. Ma quello che a Modenini non va giù è il silenzio politico che accompagna queste notizie. «Sembra quasi che qualcuno esulti se a restare a casa sono i frontalieri senza capire che ne perde il tessuto economico ticinese tutto. Nessuno ci guadagna da questa situazione e a casa ci vanno pure persone residenti in Ticino», aggiunge Modenini che rilancia guardando oltre il prossimo decennio. «Se non ci muoviamo in fretta, temo che come cantone sbatteremo contro un muro. Non abbiamo pensato a un piano B», afferma.

In che senso? L’agenda politica è piena di temi che riguardano il futuro e la digitalizzazione.

Siamo bravi a usare le parole; meno a mettere in pratica quello che digitalizzazione significa in realtà. Si pensa sempre al Ticino come a una sorta di Silicon Valley perdendo il contatto con la realtà. L’innovazione tecnologica non riguarda solo le grandi aziende. Ci sono, anche in Ticino, piccole e medie che già stanno affrontando il percorso della digitalizzazione, ma si parla sempre e solo di aziende ad alto valore aggiunto da portare da noi. Ma cosa offriamo, oltre a un fisco che comunque è sempre meno competitivo? Siamo in grado, per dire, di convincere aziende del settore medicale a insediarsi da noi? Possiamo offrire facilmente competenze e manodopera in questo campo? È questo che intendo quando parlo di mancanza di alternative. Altrove – in Irlanda, in Austria, ma anche in Italia e in altri paesi – questi discorsi se li fanno.

Altro aspetto che non viene preso in considerazione è come sarà sostituita nel mercato del lavoro la generazione dei ‘babyboomer’ che tra 10-15 anni andrà in pensione.

In Svizzera si stima che circa 900 mila persone andranno in pensione entro il 2035. Si tratta della generazione nata tra 1958 e il 1969. Non so di preciso quante saranno in Ticino. Magari ci saranno meno posti di lavoro, ma ho l'impressione che poche persone ancora stiano analizzando questi scenari. Eppure la tendenza demografica al ribasso, nonostante l’immigrazione, è chiara da diversi anni. Non è mai troppo tardi per affrontare questa situazione. Capitolo fiscalità. Anche l’Italia offre tassazioni moderate e competitive ai manager che si trasferiscono con le loro aziende. Questo per dire che pure gli altri si muovono.

C’è sempre questo fatto di considerare, in Ticino, l’Italia più un problema che un’opportunità.

Con il tessuto imprenditoriale italiano dobbiamo collaborare. Gli imprenditori italiani, lo vedo nella mia attività, sono molto disponibili nei confronti della Svizzera e del Ticino. Purtroppo stiamo buttando via energia per niente, sprecata in polemiche anti-frontalieri da decenni. Abbiamo ancora un’economia diversificata e qualche scelta la possiamo ancora fare. Non vedo però quell’unità politica o spirito di collaborazione, se così vogliamo chiamarla, dalla destra sino alla sinistra per cercare di ottenere obiettivi condivisi. In altri cantoni svizzeri ci sono riusciti. Penso a Vaud, dove l’attuale presidente dell’Unione sindacale svizzera, Pierre Yves Maillard, quando era consigliere di Stato ha fatto la riforma fiscale e risanato le finanze con la destra di quel cantone. È ipotizzabile in Ticino?

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