Ticino

Edilizia, 'il Ccl cantonale non è più adeguato'

Gli impresari costruttori ticinesi stanno valutando l'ipotesi di non rinnovare il contratto collettivo di lavoro che scadrà alla fine del 2022

Mauro Galli, a sinistra e Nicola Bagnovini (archivio Ti-Press)
18 settembre 2020
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Denunciare e quindi non rinnovare il Contratto collettivo di lavoro dell’edilizia alla scadenza del 2022? Gli impresari costruttori ticinesi ci stanno seriamente pensando. «Non usciremmo dal Contratto nazionale mantello, ma da quello cantonale entrato in vigore la prima volta il primo aprile del 1956», spiega Mauro Galli, presidente della sezione ticinese della Ssic (Società svizzera degli impresari costruttori. L’ipotesi di rottura contrattuale è emersa giovedì sera durante l’assemblea ordinaria dei soci che quest’anno - a causa dell’emergenza Covid - non si è tenuta nel mese di maggio. «Oltre i due terzi degli associati si è detto disposto a valutare seriamente l’abbandono del Ccl cantonale dell’edilizia e del genio civile», spiega da parte sua Nicola Bagnovini, direttore della Ssic-Ticino. Ma vediamo i risultati del sondaggio ritenuto rappresentativo in quanto hanno partecipato sia imprese grandi che medio piccole. Ebbene, il 36% dei partecipanti all’assemblea ha detto chiaramente sì alla disdetta, almeno a entrare nel merito. Un altro 28% non ha un’opinione a proposito («indecisi» li ha definiti Bagnovini, ndr). Il restante 36% è invece contrario. Il settore, ha spiegato ancora Bagnovini, «non rimarrebbe senza regole». «Varrebbero anche in Ticino le condizioni, accettate dalla controparte sindacale, che sono in vigore in gran parte della Svizzera. Non sarebbe la giungla paventata da alcuni».

Il sondaggio prevedeva anche una seconda domanda che rappresenta di fatto il casus belli tra impresari e sindacati: “Il fatto di passare alla soluzione nazionale di gestione del calendario di lavoro comporterebbe maggiore flessibilità ma controlli più difficoltosi”. “Per la lotta alla concorrenza sleale questo fatto sarebbe sopportabile?” Il 36% degli interpellati ha risposto che i controlli vanno mantenuti, mentre il 31% ritiene questa possibilità sopportabile. Il 33% non ha un’opinione. «È probabile che nel caso di un calendario di lavoro nazionale i controlli in Ticino diverrebbero più difficoltosi, ma non impossibili. Per questo già durante le trattative per il Ccl attualmente in vigore come Ssic-Ticino avevamo chiesto maggiore flessibilità nella gestione delle ore di lavoro. Cosa che è stata respinta categoricamente dalla controparte sindacale alla quale avevamo concesso almeno due punti invisi alla nostra associazione a livello nazionale: il limite all’impiego di lavoratori interinali e l’autorizzazione preventiva all’assunzione di personale part time», spiega ancora Mauro Galli. Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la ripresa post lockdown. «Ai sindacati avevamo chiesto di avallare delle deroghe speciali, limitate al 2020, per permettere il recupero di 40 ore di lavoro nel secondo semestre, svincolando i ponti festivi e lavorando uno o due sabati senza supplemento salariale del 25%», ha spiegato Galli. «A questa richiesta c’è stata l’opposizione in particolare di Unia che ha ricorso al Tribunale federale contro un parere - positivo - del Collegio arbitrale a proposito dell’articolo 25 del Cnm che prevede, a determinate condizioni, di poter ripresentare il calendario di lavoro durante l’anno», aggiunge Galli che è convinto che «i lavoratori, vista l’eccezionalità della situazione vissuta tra marzo e aprile, avrebbero accettato la proposta». «Poter recuperare almeno una parte del reddito perso a causa del lavoro ridotto durante la scorsa primavera non sarebbe dispiaciuto ai nostri operai», commenta Galli che rileva che «nemmeno la pandemia è riuscita a farci ottenere alcuni piccoli aiuti a favore delle imprese. In contropartita ci saremmo impegnati in questo periodo a non effettuare licenziamenti per ragioni economiche».

Situazione congiunturale difficile

Le domande di costruzioni sono praticamente crollate durante i primi sei mesi dell’anno. «Se in media durante la prima metà dell’anno il valore totale delle domande di costruzione è stato pari a circa 1,2 miliardi di franchi, quest’anno a fine giugno il valore era pari a circa 700 milioni di franchi». Un dato che mette in evidenza come oltre alle imprese della costruzione, anche tutto il settore allargato fosse in pausa forzata e che mette in evidenza un rallentamento in atto. «Il valore in franchi delle licenze edilizie concesse, proiettando il dato sull’intero anno, risulta leggermente inferiore alla media pluriennale (1,14 miliardi), ma è un dato che non ci lascia tranquilli», commenta Bagnovini. Da qui l’appello all’ente pubblico (Cantone e Comuni) a non abbassare il livello degli investimenti. Una misura anticiclica che consentirebbe alle aziende di mantenere integra l’occupazione. La richiesta esplicita è quella di puntare alla ristrutturazione e al risanamento energetico di edifici ormai datati per cercare di sopperire al netto calo delle nuove costruzioni  a scopo abitativo e commerciale. D’altro canto anche l’istituto Bak prevede una diminuzione, a livello nazionale, dell’attività edilizia del 3,1% quest’anno e dell’1,8% il prossimo.

L’assemblea, infine, ha confermato per il quadriennio 2020-2024 l’attuale ufficio presidenziale (Mauro Galli, Ferdinando Santaniello e Massimo Cereghetti) e rinnovato in parte il consiglio sezionale (Giacomo Caratti e Corrado De Bernardo i nuovi membri).

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