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Remigio Ratti: 'Dopo il Ceneri c'è ancora da fare'

Secondo l'economista ed esperto di trasporti, la politica di trasferimento delle merci alla ferrovia deve essere rafforzata

Simonetta Sommaruga (Keystone)
5 settembre 2020
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«Sono state dette tante cose sull'inaugurazione della galleria del Ceneri, dal celebrativo ad altre osservazioni e qualcuna anche critica. Io aggiungo che quello che si vede oggi è stato pensato venti o trent'anni fa. Quindi oggi si raccoglie quello che si è seminato almeno tre decenni fa». Così il professor Remigio Ratti, economista, esperto di trasporti ferroviari e già consigliere nazionale proprio negli anni ‘90 periodo in cui si sono posate le fondamenta giuridiche e finanziarie per realizzare le principali infrastrutture ferroviarie - Lötschberg e San Gottardo - di cui la galleria del Ceneri è l’ultimo tassello. «Mi associo al plauso generale, ma purtroppo devo prendere atto che lo spirito pionieristico di quegli anni non c’è più. Oggi il politico guarda più all’immediato, al massimo a quadriennio in cui è in carica o alla sua rielezione. Ed è un peccato perché c’è ancora molto da fare e da immaginare in tema di trasporti pubblici e di trasferimento dei transiti merci dalla strada alla ferrovia. La mia filosofia è quella di dire che un politico deve rendere fattibile domani quello oggi appare impossibile», commenta Ratti.

L’obiettivo, inserito nella costituzione federale, di portare a 650mila i transiti merci via strada non è stato ancora realizzato. Come fare?

Quello dell’obiettivo del trasferimento gomma-ferrovia è uno dei problemi, ma non il solo. C’è anche quello del traffico passeggeri europeo. Per rimanere al Ticino, stando a uno studio del Politecnico di Zurigo del 2010, i tre quarti dei movimenti passeggeri hanno origine e destinazione tra Chiasso e il San Gottardo. Il problema è però di tutti gli stati europei che hanno abbandonato, ormai più di dieci anni fa, i treni internazionali a lunga percorrenza per puntare - in Italia e Francia in primis - sull’alta velocità che è però tutta interna. La Svizzera ha investito quasi 24 miliardi per realizzare le tre gallerie di base e altri fondi sono stati stanziati per completare le opere necessarie nei prossimi anni. A questi si aggiungono altri tre miliardi franchi di sussidi indiretti (tariffe scontate per sostenere il traffico merci, ndr). La Confederazione ci crede nella politica di trasferimento. Un po’ meno nel resto d’Europa anche se la politica comunitaria è orientata alla ferrovia. I singoli Stati sono però meno propensi. Ben venga, quindi, la ‘Dichiarazione di Locarno’ con la quale ci si è impegnati formalmente a rafforzare la ferrovia rispetto ad altri vettori più inquinanti. La crisi del traffico aereo, acuita dalla pandemia di coronavirus, è una crisi strutturale che cambierà molte cose. Non sarà risolta prima di parecchi anni e che lascia intravedere delle chance per le tratte ferroviarie nell’ordine dei 500-600 chilometri. Faremo arrabbiare gli abitanti del Mendrisiotto, ma sarà possibile andare da Zurigo a Milano in poco più di tre ore. 

Ma l’Europa considera veramente queste opere realizzate in Svizzera, parte del suo spazio ferroviario? Infrastrutture, insomma, che reggono anche la rete dei trasporti continentale? Si parla sempre di questo famoso corridoio su ferro da Rotterdam a Genova, dal Mare del Nord al Mediterraneo. 

Insomma, quasi 24 miliardi di franchi investiti in questi tre tunnel non possono proprio non far nascere qualche influenza a livello continentale. Di quest’asse ne sta beneficiando soprattutto l'Italia, ma anche altri Paesi europei. Non dimentichiamo però che il compito storico della Svizzera è proprio di garantire i transiti alpini. Anzi, deve proprio la sua indipendenza al fatto che nello spazio che va dal nord al sud delle Alpi da sempre garantisce libertà di movimento alle altre nazioni europee. E la Svizzera ha fatto e sta facendo indubbiamente molto in questo ambito. In questi anni investendo miliardi per adeguare l’infrastruttura agli standard del 21.mo secolo. L’adeguamento lo stanno facendo anche altri paesi europei. Purtroppo lo si sta facendo a macchia di leopardo. Da qui il ridimensionamento di alcune reti europee. Ad ogni modo il corridoio Anversa-Rotterdam-Reno-Alpi-Genova’ è una delle priorità insieme al Brennero. In questo momento - è un dato di fatto - gli interessi maggiori vanno proprio al collegamento Austria-Italia, idealmente punto nodale di una dorsale che va dalla Scandinavia, attraversa tutta la Germania e va fino in fondo allo Stivale. È negli obiettivi della realtà europea allargata e anche dell’economia. Noi ci troviamo sull'asse ‘Reno-Alpi-Italia’ che è l'asse storico ma allo stesso tempo molto importante. Ma abbiamo ancora molto da fare in Svizzera in termini di opere collaterali per favorire il trasferimento delle merci sulla ferrovia e rendere appetibile per i treni europei la nostra tratta.

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