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'In montagna gente che non la conosce, serve più attenzione'

Enea Solari (Federazione alpinistica ticinese): le misure di protezione contro il coronavirus devono essere rispettate, speriamo in più sensibilizzazione

L'importanza di lasciare sempre tutto come lo si trova Ti-Press
11 luglio 2020
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Primi caldi, prime gite in montagna. Con un bilancio che finora “è in chiaroscuro, potremmo dire croce e delizia” ci dice l’addetto alle pubbliche relazioni della Federazione alpinistica ticinese Enea Solari. Perché “la stagione sta andando molto bene, è pieno di gente. Arrivano soprattutto Svizzero tedeschi a pernottare in capanna, mentre il turismo di giornata vede molti ticinesi e la cosa ci rende contenti, fa molto piacere”. Però c’è un però. E bello grande: “Detto questo, in montagna ci troviamo davvero di tutto. Compresa gente che della montagna non sa nulla e sale senza alcun riguardo né dei luoghi né delle misure sanitarie. Provocando molte difficoltà al nostro lavoro”.

In che senso?

Noi ci siamo adoperati da subito per avere disposizioni particolari e linee guida per l’apertura dopo la fase acuta della pandemia, il tutto basato sulle direttive della Segreteria di Stato dell’economia. Sacrificando la capacità dei posti, aggiornando sempre i nostri siti. Ma ci sono persone che non seguono minimamente le indicazioni e le regole, mettendo cosi a rischio capannari e altri turisti.

Addirittura?

Confermo. C’è chi va in montagna senza aver effettuato alcuna prenotazione, esigendo il pranzo, la cena o un posto dove poter dormire senza aver prima riservato come indicato dalle misure di protezione e anche dalla campagna ‘Montagne sicure’. Lasciano rifiuti maleodoranti nei rifugi non custoditi creando moltissimo disagio e problemi di igiene a chi vi arriva dopo o a chi va a controllare e sanare la situazione. Per non parlare di chi si reca in bicicletta in zone protette come ad esempio la Greina, salvo poi chiedere di essere portati a valle tramite il montacarichi per il trasporto delle merci. Arriva, insomma, gente che non si informa nemmeno sulle peculiarità dei luoghi in cui si trova, poco rispettosa, che non si rende conto che stiamo cercando di evitare una seconda ondata. E non va bene, il problema si sta espandendo in tutto il Ticino.

Lo ha detto lei, c’è “Montagne sicure” come ci sono tutte le informazioni aggiornate sui siti della Fat o del Club alpino svizzero. Qual è la vostra richiesta? Maggiore incisività nella sensibilizzazione?

L’autorità la sensibilizzazione l’ha fatta dall’alto del suo scranno dietro a un tavolo, noi ci troviamo dall’altra parte della barricata. Tutti sono benvenuti, davvero. Ma in montagna occorre venire non con gli occhi chiusi o le orecchie tappate, ma informandosi prima su dove si vuole andare, su quali itinerari seguire, e tenendo a mente che se si vuole consumare un pasto o dormire in capanna occorre riservare per rispettare le norme anti-Codiv-19. Chiediamo più attenzione, perché ci troviamo in una situazione di difficoltà ma essendo all’inizio con l’aiuto di tutti e la collaborazione di chi fa le gite può essere ancora raddrizzata.

L’invito a fare le vacanze in Ticino quindi ha portato, tra le altre cose, persone inesperte della montagna su sentieri e in capanna?

Gliela metto semplice: noi abbiamo bisogno della montagna per tutte le sue bellezze e per la sua natura, ma la montagna non ha bisogno di noi. Siamo ospiti, la dobbiamo rispettare e dobbiamo fare il massimo per rendere piacevole la nostra permanenza. Le persone inesperte ci sono, ma le faccio un altro esempio: se io andassi al mare senza averne conoscenza o senza saper nuotare bene non mi butterei nell’acqua a fare foto subacquee. La montagna esige lo stesso rispetto. Così come le regole imposte dal coronavirus.

Appunto. Quanto sta incidendo la pandemia nel vostro lavoro?

A parte la questione dei posti sacrificati, in osservanza di quanto richiesto dalle misure di protezione, dobbiamo e vogliamo ricordare che bisogna tenere lontana la possibilità che i rifugi e le capanne diventino luoghi di contagio. Prendiamo ad esempio chi si presenta pretendendo di dormire in una tenda fuori dal rifugio: nelle misure di protezione è considerata come una possibilità quella di dormire fuori dalla struttura, non un diritto a prescindere. Anche perché il posto per la tenda viene concesso dal Comune o dal Patriziato, e la tenda viene messa a disposizione dalla capanna. Una volta ottenuta l’autorizzazione, però, è capitato che poi si pretendesse un pasto o di utilizzare i servizi all’interno della struttura, che però ha una capacità limitata per la sicurezza e per evitare il contagio. Non si possono superare i numeri massimi consentiti. E non è un gioco per i capannari tenere dietro a tutto, per questo chiediamo la massima collaborazione per scongiurare o evitare spiacevoli situazioni.

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