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Coronavirus, all'agricoltura mancano braccianti

Tra frontiere chiuse e paura di recarsi vicino al focolaio lombardo, pomodori e zucchine rischiano di restare nei campi. Ma una soluzione è allo studio

9 aprile 2020
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Braccia rubate all’agricoltura, dal coronavirus. Sono quelle dei braccianti stranieri che a ogni stagione estiva permettono alla nostra produzione orticola di stare in piedi. Costituiscono «il 95% della manodopera impiegata nel settore» secondo le stime di Tiziano Pedrinis, segretario dell’Associazione orticoltori ticinesi (OrTi): tanti portoghesi, ma anche polacchi, rumeni e persone di alte nazionalità che ora, con le frontiere che si chiudono per colpa del Covid-19, rischiano di non poter arrivare in Ticino. «Iniziamo già a riscontrare difficoltà nell’arrivo via autobus dei lavoratori portoghesi, considerata anche la grave situazione in Spagna e la cancellazione di voli in tutta Europa», ci dice Pedrinis. Insomma, in tempi di frontiere chiuse, l’epidemia rischia di restituirci alla consapevolezza di un mondo interconnesso nel modo più inaspettato: togliendoci la verdura dal piatto.

Sem Genini, segretario agricolo cantonale, non nasconde le preoccupazioni: «Spesso l’orticoltura si affida a personale già ben conosciuto e formato dall’estero, e dovremo prepararci all’ipotesi di sostituirne almeno una parte con personale locale che volesse mettersi a disposizione. Il Cantone ci viene incontro permettendo procedure online snelle per il rilascio di notifiche finalizzate all'attività lucrativa di breve durata – al massimo 90 giorni –, mentre inevitabilmente è più difficile ottenere permessi B, C e L. Poi c’è il problema dovuto al fatto che spesso il personale deve attraversare tre o quattro frontiere prima di arrivare qui, ciascuna un potenziale ostacolo in questa situazione».

I rimedi? «Offriamo una borsa del lavoro online per fare incontrare domanda e offerta di personale locale (agriticino.ch/borsa-del-lavoro, ndr)», prosegue Genini, «inoltre stiamo valutando collaborazioni con associazioni che potrebbero metterci a disposizione del loro personale, come la Croce Rossa». Pedrinis aggiunge che «ci sono anche associazioni come Soccorso operaio svizzero pronte a fornirci personale. Un’altra opzione potrebbe essere quella di chiedere aiuto anche agli Uffici regionali di collocamento».

Attenzione, però: Genini ricorda che «è importante, per chi volesse darci una mano, sapere che si tratta di un lavoro anche duro, e che in determinati casi è necessaria una certa esperienza. Chi si aspetta una dimensione calma e bucolica rischierebbe di non trovarsi al suo posto».

La carenza di manodopera potrebbe farsi sentire soprattutto verso fine aprile, momento della raccolta di grandi quantità di insalate, e poi da metà maggio con le zucchine, e poi ancora con l’arrivo del pomodori e delle colture in serra. Ma secondo Genini «è ancora difficile fare delle previsioni sulla durata di questa emergenza. Bisogna attendere e ricordarsi che la priorità è la salute di tutti».

Mirko Del Bello, titolare dell’omonima azienda agricola, conferma le difficoltà: «Abbiamo un organico effettivo di una decina di persone: i quattro macedoni che da metà maggio avrebbero dovuto completare il team non solo sono stati bloccati alla frontiera, ma adesso hanno anche paura di venire qui. Stiamo cercando di passare dagli uffici di collocamento per trovare sostituti, ma finora sinceramente i risultati sono deludenti: c’è chi si candida, ma poi non risponde a telefonate ed e-mail; l’impressione è che sia più comodo restare in disoccupazione. Anche perché, come diceva già mio padre, ‘la terra è bassa’. E qua bisogna lavorare anche al sabato mattina, e alla domenica quando c’è da raccogliere le zucchine, che non possono aspettare nei campi due giorni». Del Bello ci tiene a precisare che «assumiamo, dopo un normale periodo di prova, i disoccupati che vogliono lavorare: purtroppo a oggi si sono presentate pochissime persone, che per svariati motivi non hanno accettato il lavoro». Infine, un monito: «Speriamo che questa volta anche il settore dell’orticoltura, poco aiutato, possa usufruire di aiuti stanziati dalla Confederazione per potersi risollevare da questa gravissima crisi».

Alle questioni di manodopera, infine, si aggiunge un problema di vendita. Marco Bassi, direttore di Foft-Tior – la società che distribuisce i prodotti del settore ortofrutticolo ticinese –, spiega fra le altre cose che la chiusura dei ristoranti ha avuto un impatto su due particolari tipologie di insalate: il lollo rosso e il lollo verde. Di colpo, il distributore si è trovato con grandi quantità invendute. 26 tonnellate sono finite distrutte, o meglio fornite alla Biogas Ticino per la produzione di energia alternativa. «Da questa settimana, però, sarà la grande distribuzione ad acquistarli», assicura Bassi, «ampliando la varietà della sua offerta. Una soluzione che viene anche incontro all’aumento della domanda nei supermercati locali, e ci permette di non dover gettare la produzione».

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