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Coronavirus, il ruolo del soccorritore

Intervista a un professionista della Croce Verde: 'sappiamo che stiamo affrontando una maratona, più che uno sprint'

(archivio Ti-Press)
8 aprile 2020
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«È inutile negarlo, all’inizio avevamo 'paura' anche noi. Ci siamo trovati addosso una cosa che fino a ieri sembrava lontana, ancora ignota. Ma è stato un attimo: abbiamo reagito subito». Così racconta Martino Carcano, soccorritore presso la Croce Verde di Lugano: «Dopo quel po’ di smarrimento iniziale, ha subito preso il sopravvento la voglia di essere utili nel fronteggiare anche noi questo nemico. Il morale è molto alto, anche se sappiamo che stiamo affrontando una maratona, più che uno sprint».

Una cosa però nella vita di Carcano, 31 anni da Gentilino, è cambiata: «Dovendo indossare mascherina, occhiali protettivi, camice e guanti, si è creata come una barriera tra noi e il paziente» che si va a prelevare in ambulanza. E siccome rassicurarlo è fondamentale – specie nei casi più gravi, dove ad esempio si nota già un’insufficienza respiratoria – «dobbiamo imparare a farlo con lo sguardo e coi gesti delle nostre mani». Carcano fa parte dell’importante schieramento di soccorritori professionisti per il distretto luganese: «Siamo una sessantina, tutti molto affiatati, ora ancor più di prima. È migliorato anche il coordinamento fra le regioni: se nel corso dei turni il lavoro è aumentato, è anche vero che grazie all’organizzazione possiamo comunque mantenere i turni consueti». Un presupposto importante, in una professione contraddistinta «dalla compressione delle emozioni provate in un lasso di tempo ristretto, durante il quale è necessario agire gestendo i propri sentimenti». Salvo poi, naturalmente, condividere le esperienze coi colleghi, imparare e confortarsi a vicenda. Aiuta anche «la vicinanza di tutti, dalla direzione all’amministrazione, che è sempre importante in questo settore, ma soprattutto in un momento come questo».

Sospeso per cautela l’apporto di volontari e stagisti, ora normalmente ogni ambulanza trasporta due soccorritori professionisti. Naturalmente proteggerne la salute è importantissimo. Il dottor Alessandro Motti, direttore sanitario della Croce Verde di Lugano e coordinatore dei direttori sanitari della Croce Verde per tutto il Ticino, assicura: «Garantiamo ai soccorritori la massima sicurezza in tutte le fasi d'intervento. Per i casi ordinari utilizziamo sempre la protezione per diffusione virale da goccioline quali mascherine chirurgiche, occhiali protettivi, guanti e camici» Mentre quando può esservi «una diffusione virale per aerosol, come nel caso di pazienti rianimati, intubati o tracheotomizzati», ecco che «si utilizzano camici idrorepellenti e mascherine Ffp2. Le scorte già accumulate da precedenti allarmi epidemici ci hanno permesso di garantire massima protezione già dagli inizi di febbraio. Inoltre, praticamente per 650 dei 700 trasporti medi cantonali settimanali sanifichiamo le ambulanze con nebulizzatori a perossido d'idrogeno, che con un trattamento di mezz’ora rendono l’abitacolo privo di germi nocivi, compreso il coronavirus”. Non a caso, i contagiati tra i soccorritori finora si contano sulle dita di una mano, e non è peraltro detto che siano stati colpiti dal virus sul lavoro. «Possiamo quindi continuare a lavorare a pieno regime».

La riabilitazione

All'altra estremità della presa a carico si trovano invece le cliniche di riabilitazione, che stanno già iniziando ad accogliere i primi pazienti ex-Covid-19 dimessi dagli ospedali e bisognosi ad esempio di recupero polmonare, cardiologico, muscolare e neurologico. I posti dedicati sono una sessantina: 32 alla Clinica Hildebrand di Brissago e 26 alla Clinica di riabilitazione dell'Ente ospedaliero cantonale di Novaggio. 9 camere della Hildebrand sono state attrezzate per pazienti ancora tracheotomizzati. La sfida, in tutti i casi, è quella di tenere i contagiati ancora isolati dal resto dei degenti: per questo medici, infermieri, terapisti e personale ausiliario che seguiranno i primi non potranno entrare a contatto coi secondi, e viceversa. "L'attività riabilitativa", si legge in un comunicato, "si svolge prevalentemente in camera per diminuire ulteriormente il rischio di un possibile contagio". A Novaggio si sono già registrati i primi arrivi, mentre a Brissago sono attesi in questi giorni.

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