Ticino

Cassis: senza frontalieri il sistema sanitario non ce la fa

Il capo del Dipartimento federale affari esteri: 'Senza il personale proveniente da oltre confine saremmo in ginocchio'

Ignazio Cassis (Ti-Press)

Senza infermieri e medici frontalieri, il nostro sistema sanitario «sarebbe in ginocchio». In piena emergenza coronavirus, il consigliere federale Ignazio Cassis è stato molto chiaro nella conferenza stampa tenuta ieri a Palazzo delle Orsoline dopo aver incontrato il Consiglio di Stato. «Siamo però tuttora ottimisti su questo fronte – ha aggiunto il titolare ticinese del Dipartimento degli affari esteri ed ex medico cantonale –. Abbiamo rassicurazioni dagli Stati confinanti che non intendono precettare il loro personale sanitario attivo in Svizzera». Eppure è uno scenario «che non si può escludere al cento per cento: dipende da come evolverà l’epidemia nei Paresi vicini». I quali, ha ricordato Cassis, «nel loro diritto di urgenza hanno la possibilità di prendere questo genere di decisioni». E «questa è una delle ragioni che spinge il Dipartimento degli affari esteri a continuare a garantire con questi Stati una collaborazione reciproca. Perché è soltanto nell’aiuto reciproco che non saranno adottati provvedimenti così drastici». Altro non ha aggiunto il ministro. Insomma, l’ordine ai sanitari di lavorare nei nosocomi dei loro Stati formulato dalle rispettive autorità (nel nostro caso quelle italiane) non è un’ipotesi peregrina. Nelle sole strutture dell’Ente ospedaliero cantonale, aveva ricordato il Dipartimento sanità e socialità nelle scorse settimane, agli inizi dell’epidemia in Ticino, operano 120 medici e circa 530 infermieri frontalieri. Numeri che oggi al di qua del confine possono fare davvero la differenza nella cura dei pazienti affetti dal Covid-19. Perché l’esito di questa lotta dipende anche dalle risorse umane a disposizione.

E le cifre sulla diffusione del contagio nel cantone, che caratterizzano una statistica angosciante, sono purtroppo eloquenti. Dalle 8 di domenica alle 8 di ieri ci sono stati dodici decessi legati al virus, hanno reso noto lo Stato maggiore cantonale di condotta e l’Ufficio del medico cantonale. Il totale dei morti fa rabbrividire: 105 (in apertura di conferenza stampa è stato osservato un minuto di silenzio). Sempre nel lasso di tempo indicato sono state registrate 125 persone contagiate. In tutto “1’962 casi positivi cumulativi a partire dal 25 febbraio”. Nelle strutture ospedaliere dedicate alla cura dei pazienti con Covid-19, fra cui La Carità di Locarno e la Moncucco di Lugano, “sono attualmente ricoverate 415 persone: 340 in reparto e 75 in terapia intensiva, di cui 61 intubate”. Altro dato importante: da sabato scorso “sono state dimesse dalle strutture sanitarie 58 persone”. Nei reparti di terapia intensiva ticinesi «ci sono ancora margini di manovra – ha fatto sapere il medico cantonale Giorgio Merlani –. Alcuni pazienti, con la collaborazione degli ospedali d’Oltralpe, sono stati trasferiti in altri cantoni». I posti in terapia intensiva, ha proseguito Merlani, «vengono assegnati in base anche alla prognosi del paziente: ci sono casi in cui offrire una terapia intensiva non rappresenta una soluzione a prescindere dal fatto che il posto vi sia o no. Anche una riflessione in questo senso va fatta».

La curva epidemica a livello nazionale durante il weekend è rimasta abbastanza costante, stando a Daniel Koch, capo della Divisione malattie trasmissibili dell’Ufficio federale della sanità pubblica, citato dall’Ats. “Ma non è ancora possibile stabilire quando ci sarà il picco”, ha sostenuto, precisando che i pazienti collegati a un respiratore sono ora 286 e che in tutto il Paese – Ticino compreso – ci sono ancora posti disponibili in terapia intensiva.

‘Dobbiamo anche limitare al minimo le conseguenze economiche’

Imperativo «è ora uscire dall’emergenza sanitaria, con pochi danni per l’economia», ha dichiarato Cassis, invitando a stare uniti e a resistere. L’economia appunto. Sono tre le crisi a cui la Svizzera – e non solo – deve far fronte in questo periodo: una di tipo sanitario, un’altra di tipo economico e una, infine, di tipo finanziario. «Un lockdown, uno stop quasi completo dell’economia, come fatto altrove, non è ipotizzabile per la Svizzera. L’obiettivo è quindi di sconfiggere l’epidemia di coronavirus limitando al minimo le conseguenze economiche», ha ribadito il consigliere federale. E le conseguenze economiche si stanno già facendo sentire visto che sono più di diecimila le richieste, che corrispondono ad altrettante aziende, di lavoro ridotto. «Per far fronte all’importante mole di lavoro è stata riorganizzata la Sezione del lavoro del Dipartimento finanze ed economia per potenziare il team incaricato di far pervenire gli incarti alla Segreteria di Stato per l’economia», ha ricordato il presidente del Consiglio di Stato e direttore dello stesso Dfe Christian Vitta, presente all’infopoint con Cassis. Anche il sistema bancario si è attivato: «Non ho ancora i dati completi richiesti all’Associazione bancaria ticinese, ma soltanto BancaStato (istituto di proprietà del Cantone, ndr) in pochi giorni ha deliberato oltre 50 milioni di franchi di crediti garantiti dalla Confederazione. Si stima che saranno oltre 100 i milioni messi a disposizione per l’emergenza entro una settimana solo dall’istituto cantonale», ha affermato Vitta. A livello nazionale sono stati concessi 6,6 miliardi di franchi di crediti, un terzo del programma messo in campo dalla Confederazione. Oltre 31mila aziende ne hanno fatto richiesta. Per quanto riguarda le indennità di lavoro ridotto, il 40 per cento dei dipendenti ticinesi ne è colpito contro una media del 15,10 per cento a livello nazionale.

E a proposito di aziende e della possibilità di riaprire, anche in modalità ridotta e con il rispetto delle norme igieniche e di distanza sociale, sono state poche decine quelle che hanno fatto richiesta secondo la risoluzione governativa entrata in vigore lunedì. «Non abbiamo notato passaggi alla frontiera superiori rispetto alla scorsa settimana», ha rilevato il consigliere di Stato: «I controlli sul territorio verranno svolti su vigilanza dello Stato maggiore di condotta anche coinvolgendo le parti sociali. A oggi non si segnalano particolari problemi».

Ancora un dato: sono circa 10mila i cittadini svizzeri temporaneamente all’estero in attesa di rimpatrio. Il responsabile del Dipartimento federale degli affari esteri ha ricordato che la rete di ambasciate e consolati è incaricata di fornire assistenza. Alcuni voli charter, ha ancora indicato Cassis, sono già stati effettuati e altri ne verranno attuati nelle prossime settimane. 

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE