Ticino

Luca Mercalli: ‘Agire subito sul clima, o rischiamo catastrofe’

Il climatologo italiano: ‘Il riscaldamento climatico c'è, ma le soluzioni scarseggiano. E chi butta un rifiuto su un prato, poi se lo trova nel piatto’

Ti-Press
1 febbraio 2020
|

Il sole ha riscaldato per tutto il giorno Bellinzona, e quando alziamo il telefono soffia forte un favonio di quelli gagliardi. Il termometro esterno segna dieci gradi, alla faccia dei giorni della merla. Non siamo al centro degli incendi in Australia, per carità. Non abbiamo a pochi metri l’Amazzonia che va a fuoco. Ma che qualcosa di strano sia accadendo, beh, è più di un’impressione. E che questo qualcosa stia succedendo molto velocemente, pure. Sul tema, mercoledì 5 febbraio alle 18 l’associazione di cultura politica ‘Incontro democratico’ organizza una conferenza, con dibattito, dal titolo ‘Il clima cambia rapidamente: stiamo agendo in modo adeguato?’. Nella sala del Consiglio comunale di Bellinzona, discuteranno il consigliere nazionale e vicepresidente dell’Associazione traffico e ambiente Bruno Storni, il direttore del Dipartimento del territorio Claudio Zali e il climatologo Luca Mercalli. Ed è proprio Mercalli, da noi raggiunto, a rilevare come «sì, tutto sta accadendo velocemente. E le risposte degli Stati sono lente». Quindi, anche prendendo spunto dal tema della conferenza, è interessante capire quanto si possa fare a livello di responsabilità individuale davanti a questa trasformazione. Cosa possa fare davanti a un fenomeno globale la singola persona residente in Ticino, ad esempio.

Siamo abituati a vedere le cappe di smog delle metropoli orientali, o i diversi centimetri di schiuma nei fiumi indiani inquinati. Per non parlare di quanto inquinano molte potenze mondiali. Come si può far capire a una persona che vive nel ben più piccolo, e con ben altri standard, Canton Ticino quanto sia importante fare la raccolta differenziata?
Considerando che tutto ci torna indietro come un boomerang. Anche i rifiuti che gettiamo a fianco di una strada del Canton Ticino arriveranno presto o tardi nel nostro piatto. Non c’è bisogno di pensare soltanto all’India o alla Cina, perché la plastica o gli altri rifiuti tossici di qualsiasi natura rimangono dove li buttiamo, entrano nella catena alimentare. Delle mucche che pascolano in un prato a fianco di una strada assorbono il residuo di questi rifiuti, noi berremo il loro latte e mangeremo la loro carne.

È quindi un debole luogo comune il nascondersi dietro al fatto che ci sono situazioni peggiori?
Certo, è sempre un luogo comune. Perché si parla di persone che stanno anche peggio. Se andiamo a vedere il livello della salute di molti indiani ci accorgiamo che è pessimo, sono persone che purtroppo vivono male. Hanno molte più malattie di noi e hanno una vita media più breve. Anche in Europa oggi siamo soggetti a un bombardamento di agenti inquinanti che fanno male alla nostra salute. Da tutte le fonti, quindi dall’aria che respiriamo, dall’acqua che beviamo, dal cibo e anche dagli oggetti che tocchiamo. È sempre un’ottima regola quella di affidare a opportune filiere di raccolta qualsiasi materiale che non sia rigorosamente biodegradabile. E dobbiamo aggiungere un rifiuto molto particolare, che è il CO2. Lo produciamo bruciando petrolio, carbone e gas. Il danno lo facciamo al clima e lo facciamo al clima globale. Quindi alla fine anche la benzina che produciamo in Svizzera prima o poi ci torna indietro sotto forma di un evento estremo come un’alluvione o un aumento di temperatura estiva.

L’Accordo di Parigi, firmato da 195 Paesi, impegna a mantenere l’aumento medio delle temperature al di sotto dei 2 gradi, con l’obiettivo di fermarsi a 1,5 gradi. Materialmente, cosa implicherebbe nella vita quotidiana questo innalzamento conside­rato come minor danno possibile?
Cominciamo con il dire che quando parliamo di un dato medio, addirittura a livello planetario, è come aggiungere un grado e mezzo a un sistema complicato come quello umano. Si aggiunga un grado e mezzo alla temperatura di una persona, starebbe male, avrebbe la febbre e dovrebbe curarsi. Se ne aggiungiamo cinque di gradi, finirebbe con il morire. Quindi è importante dire che nei sistemi naturali piccole variazioni possono cambiare nettamente lo stato di salute, appunto, della natura. Negli oceani piccolissime variazioni di decimi di grado fanno saltare tutta la produzione di cibo da parte del plancton, ad esempio. E anche con le temperature dell’aria il concetto è lo stesso. Volendo invece vedere le conseguenze sul territorio, il calcolo è semplice: 0,6 gradi corrispondono a 100 metri. 1,5 gradi in più significherebbe, quindi, che Bellinzona si troverebbe con il clima di una città che oggi è al livello del mare. Già nell’ultimo secolo abbiamo preso un grado e mezzo, e quindi seguendo questo calcolo è come aver alzato le fasce climatiche dalla pianura alla montagna di 250 metri. E allo stesso modo il livello della neve e le specie viventi. Vuol dire, sempre per capirci, spostare in alto il livello della neve: per esempio vuol dire che d’inverno molte località che prima prendevano neve adesso non la prendono più.

Chi dice che non c’è più tempo, insomma, ha ragione?
Non c’è dubbio. L’incremento che ci sarà in futuro non farà che portare nuovi problemi, compresi gli eventi estremi. Le alluvioni diventano più intense, le ondate di calore estivo molto più frequenti. Io credo che trent’anni fa in Canton Ticino il condizionatore d’aria fosse un oggetto esotico di lusso. Oggi tutti noi non possiamo più vivere a luglio e agosto senza il condizionatore, perché oggettivamente in città non si respira e questo è un effetto delle ultime estati con temperature prossime ai 40 gradi. Dal 2000 registriamo temperature sempre più alte. Tra Svizzera e Nord Italia non abbiamo mai visto 40 gradi prima di allora, adesso un anno su due si toccano i 40 gradi a Milano e i 39 a Lugano.

In Svizzera, al vaglio del parlamento fede­rale, ci sono provvedimenti come la tassa sul carburante o balzelli sui biglietti aerei. L’Udc, il primo partito a livello nazionale, ha descritto queste ipotesi come ‘comunismo verde’. Lei cosa ne pensa dell’intervento dello Stato in questi ambiti?
Purtroppo quando si minaccia il bene pubblico, e soprattutto la qualità della vita delle generazioni future, bisogna prendere dei provvedimenti. Viviamo tutti in Paesi dove accettiamo una nostra piccola limitazione della libertà per avere un vantaggio collettivo. Se io prendo l’aereo, produco molte emissioni e quindi partecipo a un danno elevato del clima con cui dovranno vivere i miei figli e i miei nipoti, perché mai non dovrei pagare?

D’accordo, però nonostante ciò allargando lo sguardo agli Stati, alle potenze economiche mondiali, non si vedono molti sforzi
per risolvere il problema. Intanto le piazze si riempiono di giovani, il tema inizia a far breccia nella società, alcuni marchi hanno iniziato a ‘monetizzare’ mettendo sul
mercato borracce diventate di moda per invitare a non acquistare bottiglie in Pet.

È sufficiente questa consapevolezza nelle persone, a fronte di una non propriamente celere azione dei governi?
Guardi, io mi occupo di questo problema da trent’anni. Se guardo quello che è successo finora, penso che non sarà certo un movimento di ragazzi a cambiare le carte in tavola. Sono molto contento che ci siano anche loro insieme a noi. Ma, come abbiamo fallito noi, intendo dire come comunità scientifica che come il medico fa la diagnosi, dà una medicina, ma il paziente non vuole prenderla, temo si fallirà ancora. Sono contento, lo ripeto, che accanto alla scienza, ai movimenti ambientalisti, ai partiti verdi oggi ci sia anche un movimento giovanile più ampio che giustamente può fare delle pressioni, può votare. Lo ha fatto in Svizzera, lo ha fatto in Germania. Ma stiamo parlando di numeri che sono sempre piccoli: si parla di cifre attorno al 20 per cento di voti. Un valore molto piccolo se vogliamo trasformare in tempi rapidi l’economia. Pensiamo a tutto il resto del mondo dove queste percentuali sono un miraggio. La mia opinione è che con molta difficoltà riusciremo nei tempi brevi che la fisica ci impone a rimanere nello scenario più prudente dei 2 gradi in più entro la fine del secolo. Spero, spero davvero che non cadremo nello scenario peggiore, che è stato portato a 7 gradi: sarebbe una catastrofe, la fine del mondo per come lo conosciamo. Le ultime simulazioni pubblicate quest’anno dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) dicono che si rischiano 5 gradi in più, ma con lo studio che uscirà nel 2021 si potrà arrivare a 7 gradi in più. Usando il calcolo fatto prima, significherebbe mille metri. Immaginiamo una località di montagna innevata a mille metri, spostiamola a livello del mare. Ecco cosa sono 7 gradi.

Nonostante ciò, qualcuno dice che l’ambientalismo è una moda passeggera.
Sono uno scienziato e ho superato i cinquant’anni. Combatto da una vita intera e sto continuando a combattere, ma nel frattempo mi attrezzo, cioè faccio la mia strategia personale di sopravvivenza. Ho comprato una casa, il più in alto possibile, a 1’650 metri di altitudine. E adesso mi preparo per andare a vivere in questa casa in montagna, molto elevata, per sfuggire nella mia vecchiaia ai 50 gradi di Torino, di Bologna, di Milano, di Lugano. Questa è l’unica cosa che posso fare, e una delle risposte a chi sostiene che l’ambientalismo sia una moda. Purtroppo è successo con tanti altri disastri, tante altre catastrofi accadute nella storia. Qualcuno ha avvertito, e non è stato ascoltato. Ovviamente continuerò a fare quello che sto facendo adesso, vale a dire informare e portando dati concreti, verificati. Certo, è ovvio che si continua a spargere informazione. Però sono dell’idea che non sarà più possibile in tempi brevi, purtroppo.

Ci sono scienziati – e non – che ospiti su alcuni quotidiani affermano che ‘la scienza non è unanime’ sulle cause, e quindi sulle soluzioni, di questo problema. C’è chi addirittura lo nega. Cosa risponde?
La parola ‘scienza’ non vuol dire niente. In un mondo oggi così complesso, dove esiste una specializzazione disciplinare enorme, ognuno di noi appena esce dal proprio campo è ignorante come una zucca. Quella scienza che oggi si pone contro il cambiamento climatico non è una scienza del clima: questo è il punto fondamentale, chi lo fa non ha mai pubblicato una riga sui cambiamenti climatici. La cosa curiosa è che ci sono le riviste specializzate: si manda un articolo, c’è un comitato di vari colleghi che leggono, decidono la pubblicazione, contestano dei passaggi o lo rigettano. Ecco, chi non ha mai pubblicato una riga su ‘Science’ lo fa su alcuni quotidiani? La grande responsabilità dei quotidiani che danno spazio a certe teorie è di contravvenire alla deontologia professionale del giornalista. Che ha il dovere di verificare una notizia, una tesi, e non di dire di far parlare chiunque. La responsabilità non è solo di chi scrive certe cose, ma anche di chi le diffonde. Con tutte le conseguenze che comporta non seguire un codice deontologico.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE