Ticino

'Accetterei una condanna, ma da un Tribunale svizzero'

Alvaro Baragiola ha rilasciato una lunga intervista al portale tio.ch sulla sua vicenda giudiziaria. “L'Italia si muove in una logica di vendetta”, ha affermato

Alvaro Baragiola. Nella immagine grande la strage di via Fani del 16 marzo 1978
18 gennaio 2019
|

“Sono passati 40 anni e l’Italia si è sempre mossa in una logica di vendetta, come si è ben visto anche nel caso Battisti, e non ha mai rinunciato a un quadro giuridico d’eccezione. In una giustizia normale la "certezza della pena" vale anche per il detenuto: io sono stato scarcerato quasi venti anni fa, e sto ancora come prima dell’arresto, senza sapere se un giorno o l’altro mi riarrestano o mi riprocessano per qualcosa.  Se ora l’Italia decidesse di muoversi con una richiesta come quella che ipotizza, io l’accetterei senza obiezioni, almeno metteremmo la parola fine a questa vicenda”. È un estratto di una lunga intervista rilasciata da Alvaro Baragiola al portale www.tio.ch. In pratica l'ex terrorista delle Br, ora 63enne, sarebbe disposto a scontare in Svizzera un'eventuale sentenza emessa da un Tribunale svizzero in base a una richiesta di exequatur corretta e completa, cioè per tutte le condanne italiane cumulate. Ricordiamo che Baragiola, noto in Italia con il cognome Lojacono, è un cittadino svizzero per parte di madre di cui porta il cognome. 

La Lega dei ticinesi ha invitato il Governo federale a consegnare Baragiola alle autorità italiane. “L’Italia non ha maiI chiesto la mia estradizione alla Svizzera (il fatto è accertato dalla sentenza del Tribunale federale del 9 aprile 1991), ed una 'consegna' come la richiede la Lega equivarrebbe a una deportazione alla boliviana, che la Confederazione non prevede”, afferma ancora Baragiola.

'Venga in Italia, se vuole davvero scontare la sua pena'

Le reazioni alle dichiarazioni di Lojacono Baragiola sono arrivate rapidamente da Giuseppe Fioroni, presidente dell'ultima Commissione d'inchiesta sul Caso Moro e da Sandro Leonardi, figlio di Oreste, il capo della scorta di Aldo Moro, che fu ucciso in via Fani il 16 marzo 1978 con gli agenti Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Domenico Ricci dal commando brigatista di cui faceva parte anche Lojacono.

"Sono senza parole - dice Leonardi all'Adnkronos e ripreso da repubblica.it - . Lojacono venisse in Italia, se vuole scontare davvero la sua pena. E se no se ne resti in Svizzera come fa da quarant'anni e ci lasci in pace. Io sono quarant'anni che sconto il mio ergastolo.  A Lojacono e a tanti altri, Casimirri in testa, dico che è finita la pacchia", aggiunge Leonardi, secondo cui l'arresto di Cesare Battisti in Bolivia dimostra che per catturare i terroristi latitanti "basta la volontà". "E sono 40 anni che lo Stato non ha alcuna volontà - accusa il figlio del caposcorta di Moro - .  Ce ne fosse uno che sta in galera, nonostante abbiano cinque, sei ergastoli per uno... Forse Lojacono ha ragione, lo Stato ha paura - ragiona Leonardi - perché questo è il problema, tutta questa gente sa verità indicibili... Ma io dico dopo 40 anni che cosa c'è da aver paura?. Ora vorrei che finalmente le parole fossero trasformate in fatti - conclude Leonardi - . Di politici in tv con la divisa ne ho le scatole piene... Se davvero sono in grado, tanto di cappello, ma agiscano, la pubblicità non mi interessa. Questi assassini li voglio vedere marcire in galera".

Giuseppe Fioroni, dal canto suo, respinge seccamente le parole di Lojacono sul fatto che la commissione d'inchiesta si sarebbe "dedicata alla ricerca di complotti": "E' ora di farla finita . dice Fioroni - : il Parlamento ha approvato all'unanimità una relazione su fatti e prove certe, senza nessun complotto o interpretazione stravagante. E' sempre più chiaro che la verità su Moro sia stata circoscritta in un campo di verità dicibili, attribuendo a pochi le responsabilità di tanti". Con Lojacono, ricorda Fioroni, "noi eravamo disponibili anche a una rogatoria, ad andare noi in Svizzera, queste verità poteva dirle da lì. Non c'era bisogno di farsi riarrestare per parlare. Con lui abbiamo avuto uno scambio epistolare e ci rispose che non intendeva rispondere alle domande perché, come risulta dagli atti, aveva scontato la sua pena con la giustizia elvetica".

 

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE