Ticino

Scuola, dopo il voto cento idee

Bocciata la riforma, la Destra torna alla carica. Le associazioni magistrali chiedono di essere coinvolte

2 ottobre 2018
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È una “linea di rinnovamento” in 61 punti quella che propongono i referendisti all’indomani della vittoria sul credito contro la ‘Scuola che verrà’, respinto alle urne il 23 settembre dal 57% dei votanti. Naufragata la riforma del Dipartimento dell’educazione di Manuele Bertoli, ecco che dal cassetto la Destra di Sergio Morisoli rispolvera la sua visione di scuola, già descritta in un’iniziativa parlamentare del 2016. Una “rotta” che oggi – ritengono – “ci pare derivare dal verdetto popolare”. Da un referendum al rilancio della loro iniziativa il passo è stato breve. «Avevo fatto presente questo rischio già mesi fa». E dunque a maggior ragione a Franco Mombelli, co-presidente del Movimento della Scuola, non possiamo che far notare quanto la scelta di lasciare libertà di voto sulla ‘Scuola che verrà’ ora potrebbe trasformarsi in un boomerang: non appoggiare la sperimentazione non è stata una gran mossa, o no? «Prima di tutto in quanto associazione magistrale non siamo in grado di spostare migliaia di voti. Inoltre questa scelta era motivata dal fatto che nessuna delle tre opzioni in gioco era del tutto convincente». Quanto all’iniziativa della Destra, «dei 61 punti proposti potremmo forse condividerne una minima parte, in merito al ruolo dell’insegnante. Per il resto riteniamo molto preoccupante la rappresentazione di una scuola vista più come azienda che come istituzione dello Stato, scuola che sembrerebbe avere come finalità ultima la formazione di lavoratori e non di cittadini». Il Movimento è critico anche sul metodo: «A mio parere l’iniziativa e la ‘Scuola che verrà’ hanno gli stessi difetti di base – valuta Mombelli –: sostengono che un cambiamento della scuola dell’obbligo sia necessario, ma senza analizzarne e spiegarne i motivi e, soprattutto, gli ambiti; calano dall’alto delle soluzioni senza coinvolgere fin dall’inizio chi la scuola la fa ogni giorno; e se i referendisti accusavano la ‘Scuola che verrà’ di essere ideologica mi chiedo cosa si debba dire della loro, che a prima vista non poggia su un briciolo di solida letteratura scientifica». Più morbida la posizione del presidente dell’Ocst docenti, Gianluca D’Ettorre: «Non posso non dire che tra i 61 punti ve ne sono alcuni interessanti, come lo sgravio orario per i docenti ‘over 50’. Quanto agli aspetti critici la terminologia che rimanda a una scuola-azienda è assai problematica». Non è solo una questione di terminologia: è piuttosto un principio... La trova d’accordo? «Parzialmente sì, laddove questa matrice imprenditoriale-manageriale diventa veicolo di una maggiore liberazione delle potenzialità della scuola e dei docenti; se invece si volesse usare la scuola come luogo di reperimento precoce degli allievi in funzione delle esigenze del mercato del lavoro evidentemente non possiamo condividere». Oggi i referendisti, forti del voto, conducono il dibattito. Non crede che la mancata indicazione di voto dell’Ocst abbia finito per conceder loro troppa corda? «La nostra responsabilità è rivolta alla scuola: se non abbiamo dato indicazioni di voto lo abbiamo fatto nel suo interesse. Su alcuni punti il Decs non ci ha dato sufficienti garanzie per convincerci a sostenere il ‘sì’. Che poi questo abbia avuto un’incidenza sull’esito del referendum non credo, perché non abbiamo tutto questo peso...». A questo punto cosa vi aspettate dal Dipartimento? «Una riflessione profonda su cos’è la scuola oggi e su cosa non funziona. Poi un progetto di riforma meno ambizioso ma più chiaro e lineare nel conseguimento di alcuni obiettivi, con il coinvolgimento sin dall’inizio e costante di sindacati e associazioni magistrali».

«Il risultato della recente votazione popolare è stato chiaro e va accettato, ci mancherebbe altro. Detto questo – aggiunge Katya Cometta, presidente dell’Associazione per la scuola pubblica del Cantone e dei Comuni –, dietro al referendum c’era ovviamente un disegno e questa iniziativa parlamentare lo conferma. C’era, e c’è, un’idea di scuola da parte dell’Udc che io, ma non solo io, non condivido. Mi sorge poi spontanea una domanda: l’Udc ha consultato la base, cioè il mondo della scuola, prima di allestire e depositare l’iniziativa? Le proposte che fa sono condivise dagli attori del mondo scolastico? L’interrogativo è senz’altro legittimo, dato che il Decs era stato duramente criticato per non aver avviato, a detta dei promotori del referendum, un’adeguata consultazione». L’iniziativa, aggiunge Cometta, «suggerisce fra l’altro di trasformare tutte le sedi di scuola pubblica in unità amministrative autonome, cosa già contemplata da ‘La Scuola che verrà’ ma successivamente tolta dal progetto alla luce della netta opposizione dei docenti. È anche per questo che mi chiedo e chiedo se l’Udc abbia consultato il mondo della scuola. Credo insomma che gli autori di questa iniziativa parlamentare partano col piede sbagliato, commettendo lo stesso errore rimproverato al Dipartimento».

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