Ticino

Chiusura sul centro educativo per minorenni violenti

Il Coordinamento contrario alla struttura che dovrebbe sorgere a Castione non demorde. Contatterà i parlamentari per convincerli a percorrere altre vie

Ti-Press
11 giugno 2018
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C’è un movimento che spinge contro il Centro educativo chiuso per minorenni (Cecm), che nelle intenzioni del governo dovrebbe sorgere a Castione. Sono quasi dieci anni che si discute del progetto e la soluzione individuata dal Cantone, che gode già dell’approvazione del concetto da parte di Berna, è quella di una struttura con dieci posti letto per giovani dai 12 ai 18 anni: otto posti per la pronta accoglienza e l’osservazione, un posto per le misure disciplinari e uno per l’esecuzione di pene di privazione della libertà. Se parzialmente il Gran Consiglio si è già espresso, introducendo la nuova Legge sulle misure restrittive della libertà dei minorenni nei centri educativi, resta ancora in sospeso il credito di costruzione. Oltre all’approvazione dell’Ufficio federale di giustizia (Ufg) del progetto educativo, il cui mandato è stato assegnato alla Fondazione Vanoni. Nel frattempo dall’Ufg è già stata data la disponibilità a partecipare ai costi, considerato che la necessità della struttura contenitiva è stata riconfermata dall’ultima analisi del fabbisogno svolta dalla Supsi.

Dicevamo del movimento contrario: un’onda che pian piano sta cercando di prendere sempre più forza. Dopo la consegna da parte della Vpod della petizione che si oppone alla realizzazione del centro, sottoscritta da quasi 500 firmatari soprattutto dell’ambiente (educatori, operatori sociali ecc.), sabato si è riunito il Coordinamento contrario al Cecm. Una riunione aperta, a cui hanno partecipato una ventina di persone, per fare il punto sulla situazione ma soprattutto interrogarsi sul da farsi. Sebbene vi sia un’iniziativa popolare pendente (quella dei giovani liberali radicali ‘Le pacche sulle spalle non bastano’, le cui firme erano state raccolte all’indomani del delitto Tamagni) e sebbene finora si è sempre manifestato un certo consenso a livello parlamentare, vale ancora la pena tentare di mettersi di traverso. È questa la conclusione a cui sono giunti i partecipanti dopo un paio d’ore di dibattito. «Contattiamo i deputati, invitiamoli a partecipare ai nostri incontri, informiamoli», è stato risposto dalla sala a chi chiedeva come fare per passare all’azione. «I giochi non mi sembrano ancora chiusi», ha fatto presente un altro. «Sì, sul credito il parlamento deve ancora determinarsi – commenta a fine riunione Peter Schrembs, avvicinato dalla ‘Regione’ –. Ed è nostra intenzione mettere pressione affinché il progetto si areni. Evidentemente mi farebbe molto più piacere se il centro non si facesse per una contrarietà di principio, e non per una questione di soldi. Ma alla fine ciò che conta è il risultato». Fondamentalmente nessuno dei presenti ritiene opportuna una soluzione come quella prospettata nel messaggio del Consiglio di Stato. «Come può la privazione della libertà avere un effetto educativo su un giovane?», si chiedono. Nulla a che vedere – per il Coordinamento – con la vera essenza dell’educare, cioè il tirar fuori le potenzialità della persona. “L’alternativa al centro chiuso esiste – scrivono in un documento che sarà spedito ai granconsiglieri –: accompagnare i giovani fuori, nel contesto sociale e familiare, rafforzando ed incrementando la rete educativa”. Semmai utilizzando i soldi preventivati – 5,4 milioni per la costruzione, 2,5 per la gestione – in altri progetti più convincenti.

Il dossier è all’esame della Commissione della legislazione del Gran Consiglio, la quale sembra non avere fretta di concludere. Peraltro i partiti non sono unanimi sull’opportunità di avere un centro simile: al di là dei costi, nemmeno il principio di unire sotto lo stesso tetto diversi tipi di accoglienza convince tutti. Tra gli scettici c’è il Partito socialista.

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