Ticino

'E quella volta che mi chiesero di giocare nel Milan?'

Incontro con Renzo Bionda ex capitano granata. Ha 74 anni, la maggior parte dei quali passati a giocare su un campo di calcio.

Foto Ti-Press/Alessandro Crinari
9 giugno 2018
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Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Nel momento in cui Renzo inizia a raccontare la sua storia mi viene in mente Sliding doors, un film della fine degli anni Novanta che trae il titolo dalle porte scorrevoli, come quelle dei treni o dei grandi magazzini che si aprono automaticamente. Nella pellicola la protagonista vive due vite opposte, ognuna delle quali è la conseguenza di un evento banale: tornare, o meno, a casa a prendere qualcosa che aveva dimenticato. E la sua esistenza prende una piega diversa a seconda che questo evento accada o meno. 

Per Renzo, ex capitano storico del-
l’AC Bellinzona, la prima sliding door si è chiusa quando avrebbe potuto essere comprato addirittura dal Milan: me lo rivela con semplicità quando gli chiedo se ha mai avuto la possibilità di «vivere di calcio». «Non l’ho mai detto a nessuno, ma già che me lo chiedete… Quando avevo circa vent’anni giocammo una partita amichevole contro il Milan, in casa a Bellinzona. Allora c’era il famoso Nils Liedholm, ex giocatore e allenatore svedese del Milan. Al termine dell’incontro andammo a cena e così, tra una cosa e l’altra, mi chiese se mi sarebbe piaciuto andare a giocare nella loro società. Io non dissi né sì, né no. Purtroppo, a fine campionato introdussero il blocco degli stranieri, che durò per 5 o 6 anni, e quindi l’opportunità svanì». 

C’era una volta un ragazzino

Di soddisfazioni però Renzo Bionda se ne è tolte tante altre. Me lo racconta un pomeriggio davanti a un caffè in un bar della capitale, dove è «sceso» da Preonzo, paese in cui abita da tutta una vita.

La prima delle tante soddisfazioni se l’è tolta agli esordi quando, appena 12enne, fu arruolato nelle fila del Bellinzona Calcio senza aver mai fatto un allenamento. «Giocavo per conto mio, a Preonzo. Un sabato pomeriggio mio zio mi portò a Bellinzona. Pensavo che avrei giocato con i miei amici del ginnasio, invece mi sono trovato davanti solo quelli del Bellinzona», mi racconta. «Mi sono arrabbiato moltissimo con mio zio, talmente tanto che per sei mesi non gli ho più parlato, anche se mi portava ogni giorno a scuola in auto» ricorda con il sorriso sulle labbra. E aggiunge: «Quel sabato pomeriggio però è cambiato tutto».

Da allora Renzo non ha più lasciato il pallone. «È una grande passionaccia il calcio. Ho giocato fino a 65 anni...», meno di dieci anni fa, visto che Renzo oggi ne ha 74. Oltre mezzo secolo da quella prima partita che lui ricorda come se fosse ieri: «Giocavo con le scarpe nuove, quelle con i chiodini: mai messo un paio di scarpe così. L’allenatore allora era il maestro Boggia. Mi chiese in che ruolo giocassi; io non lo sapevo, giocavo e basta. La partita finì 5 a 0 per noi». Fa un’altra pausa: «Io feci 5 reti». Ci guardiamo e ridiamo.

Zurigo, andata e ritorno

Nel Bellinzona ci è rimasto fino a 27 anni. «Poi mi ha chiamato lo Zurigo e lì ho fatto 4 anni». E dopo? Dopo arriva la sliding door. «Dopo Zurigo ho fatto l’errore della mia vita: sono tornato in Ticino. L’ho fatto per la famiglia: il mio primo figlio, Massimo, aveva 6 anni e doveva cominciare la scuola. In più avevo già costruito casa a Preonzo. Ci abbiamo pensato tanto io e mia moglie, ma alla fine siamo tornati. Una volta in Ticino non volevo più giocare, poi è arrivato il Chiasso e mi ha convinto. Sono rimasto solo per due anni perché tra lavoro e allenamento tornavo a casa la sera dopo le 21. E i miei bimbi li vedevo solo il sabato. Era troppo dura». 

Comunque Renzo non ha appeso le scarpette al chiodo: dopo l’esperienza momò ha giocato 10 anni nel suo Preonzo e poi nei seniori di Ravecchia. Oggi gestisce la scuola calcio del suo paese, con bimbi dai 5 ai 7 anni. Tutta una vita fatta di calcio, giocato in prima persona ma anche guardato in TV o allo stadio. Come quella volta che ha visto il suo idolo, Pelé. «Per me è stato il migliore in assoluto. Quando uno fa più di mille reti in tutta la sua carriera non c’è Maradona che tenga». E tu Renzo, quante ne hai fatte? «Mah, non tante; anche perché l’allenatore Mezzadri mi mise a giocare come centrale difensore». Come il capitano Baresi, gli dico scherzando sulla mia inaspettata uscita quasi competente. Ridiamo. Perché per parlare con Renzo non serve conoscere schemi e tecniche del calcio. Conversare con lui è piacevole anche se non sei un grande esperto del pallone. 

Ci salutiamo facendo un’ultima battuta sui prossimi Mondiali, sulla prima della Svizzera in campo proprio contro il Brasile, l’altra sua squadra del cuore. Cosa tiferà? «Ovviamente prima c’è la Svizzera, abbiamo un’ottima squadra. Conosco benissimo Vladimir Petković, l’ho anche allenato quando ero a Bellinzona e ho sostituito il mister per un breve periodo». I numeri, secondo Renzo, ci sono tutti. «E poi – conclude il capitano granata – anche un pizzico di fortuna non guasta mai!».

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