Ticino

Rifugiati in famiglia? 'Sì, ma…'

Paolo Beltraminelli non è contrario all’affido di migranti in famiglie locali 'ma bisogna valutare caso per caso'

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26 marzo 2018
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Una sessantina di famiglie vodesi accoglie 120 migranti (maggiorenni e minorenni) a domicilio. Una decina di villaggi nel cantone mette a disposizione appartamenti a famiglie di rifugiati. Un’accoglienza che fa scuola in Svizzera perché si è capito che ospitare i rifugiati in famiglia accelera la loro integrazione, facilita l’apprendimento della lingua e anche il passaggio ad un lavoro, grazie alla rete sociale di chi li alloggia. Inoltre, costa meno e aiuta a ridurre i pregiudizi. Una via promossa dalle autorità di vari Cantoni come abbiamo raccontato in un ampio reportage.

In Ticino si è fatto un primo passo con i migranti minorenni non accompagnati:  sono 47 e 43 vivono nei foyer della Croce Rossa. Da agosto, un 15enne nordafricano è affidato ad una famiglia luganese, altri due vivono in famiglie della loro medesima etnia. (Infine un giovane problematico è in un istituto). Perché il Ticino non favorisce maggiormente l’accoglienza dei migranti in famiglie? Il Dipartimento sanità e socialità guarda con interesse a queste esperienze, ma non spinge l’acceleratore. Abbiamo chiesto perché al responsabile del Dipartimento sanità e socialità (Dss) Paolo Beltraminelli.

Da agosto, una famiglia di Lugano cresce un 15enne nordafricano, un migrante non accompagnato che era al foyer della Croce Rossa. Lo farete anche per altri migranti?

Di principio, il dipartimento che dirigo non è contrario all’affido di migranti in famiglie locali. Ma bisogna valutare per chi è salutare questa soluzione. Inoltre serve una prima fase di adattamento culturale in un centro della Croce Rossa che gestisce l’accoglienza dei minori non accompagnati.

Visti i numeri esigui non sembra che il Dss stia spingendo l’accoglienza in famiglia o sbaglio? 

Molto dipende da età e caratteristiche del migrante ma anche dalla famiglia affidataria. Non tutti sono indicati. Ci sono minori che ne hanno viste di tutti i colori, mentre altri possono essere più compatibili con un’esperienza in famiglia. Inoltre non tutti sono interessati. Molti hanno una famiglia altrove, non ne cercano una nuova.

Ospitare migranti in famiglia velocizza l’integrazione e costa meno: non sono aspetti importanti?

Sono d’accordo, non abbiamo una attitudine negativa verso questa integrazione sociale dei minorenni, ma dobbiamo valutare caso per caso. La commissione Onu che ha visitato i centri per i minorenni della Croce Rossa, li ha giudicati di buon livello. Tutto ciò ha un costo e il forfait della Confederazione non basta. È vero che un minore preso a carico in un foyer costa di più (2’200 fr. al mese) rispetto alla famiglia affidataria (1’500 fr.).

Perché puntate così tanto sui foyer?

I migranti arrivano da contesti culturali molto diversi dal nostro. In Africa si dice che quando una bambina è nel ventre materno appartiene alla famiglia, dopo la sua nascita è di tutto il villaggio. I foyer diventano la comunità per loro. Ritengo che il modello di integrazione migliore implichi un passaggio iniziale da un centro dove li si istruisce sulla cultura occidentale. Attorno ai foyer ruotano poi molti volontari che organizzano attività. Puntiamo ad individualizzare la presa a carico e li immergiamo subito nel contesto scolastico e formativo.

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