Cantone

I camici frontalieri? Non c'è alternativa

‘Prima i nostri’ nel sociosanitario? La sostituzione con gli infermieri residenti non è possibile. Mancano posti stage per la formazione

14 marzo 2018
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C’è un settore che più di altri ci racconta un’altra storia su “prima i nostri”, ovvero sulla difesa per legge dell’occupazione residenziale: è il sociosanitario, dove negli ultimi cinque anni si è denunciata in Svizzera una carenza di personale infermieristico pari a ben 10’000 unità in rapporto al fabbisogno. E in Canton Ticino, regione di frontiera, l’occupazione estera (sostanzialmente frontaliera) si avvicina al 50 per cento delle infermiere e degli infermieri impegnati nel pubblico come nel privato. Che fare? Se l’è chiesto anche Simone Ghisla, deputato Ppd, che ha presentato una mozione – poi ieri in aula ritirata – nell’ambito di “Prima i nostri”, ovvero l’applicazione dell’iniziativa popolare che vuole, appunto, dare precedenza alla manodopera residente.

Il caso è emblematico, perché dimostra come non esistano soluzioni facili a problemi complessi. «Tutti avvertiamo la necessità di potenziare l’occupazione nel settore sociosanitario – ha subito riconosciuto Matteo Quadranti, relatore della Gestione –, ma già si fa molto e di più è difficile fare». Intanto perché per conseguire un diploma infermieristico è obbligatorio svolgere stage formativi e qui casca l’asino: troppo pochi i posti messi a disposizione dalle strutture private e quelli dell’Ente ospedaliero cantonale non bastano. «Il problema è urgente. Sono numerosi i frontalieri nell’ambito sanitario, ma certo non sostituiscono il personale residente. Anzi, vi è carenza interna. In Ticino come in Svizzera dove si forma meno della metà del personale infermieristico necessario» ha precisato Gina La Mantia, socialista, ricordando fra l’altro che la popolazione ultrasessantenne è in continua crescita. Penuria di posti di stage, dunque, ma anche «una fluttuazione del personale molto alta, perché prevalentemente femminile» ha aggiunto la deputata del Ps. Altro aspetto non secondario, molti studi evidenziano la professione sanitaria fra le più usuranti. Dunque tutti concordi con Ghisla: la questione esiste, ma far di più nel campo formativo di quanto già si fa, è complicato e difficile.

«Sì, tutti siamo d’accordo, ma con questa velocità di crociera che in sei anni ha migliorato la situazione solo del 10 per cento» ha rintuzzato il mozionante popolare democratico, alludendo all’aumento dei posti di stage per futuri infermiere e infermieri. La questione, a detta del deputato Ppd, è un’altra: «Quant’è il fabbisogno del personale sanitario in Ticino? Nessuno ce lo dice. Avanti di questo passo e il numero necessario di personale formato sarà raggiunto nel 2081!» ha detto Ghisla, annunciando nel frattempo il ritiro della mozione per poter così presentare un secondo atto parlamentare sul tema, magari fuori dal contesto sopraccitato. Categorica la replica di Matteo Quadranti: «Il problema, come detto, è noto e sotto osservazione da anni. Se poi lei, caro collega, riuscirà là dove in tutta la Svizzera non riescono, e cioè trovare il 50 per cento del personale sanitario ticinese oggi mancante, le faremo tutti i nostri complimenti». Perché, come detto, non sono pochi i fattori che partecipano a una situazione certo “squilibrata” e che ha origini lontane, quando certe professioni non erano oggettivamente appetibili ai residenti; cambiato il quadro, potenziata anche la formazione, lo sono diventate e oggi non pochi vorrebbero far carriera in quel settore, come ha ricordato anche Franco Denti (Verdi), ma la formazione ha i posti limitati e serve l’impegno di tutti gli attori in campo. Anzi, in corsia.

Lotta al dumping, il Ticino scrive a Berna. Ma Farinelli: ‘Segnale sbagliato’

Il Canton Ticino scriverà a Berna, e lo farà con un’iniziativa cantonale che chiederà una modifica al Codice delle obbligazioni. Precisamente degli art. 336 e seguenti, dove viene proposto di inserire anche il ‘licenziamento di sostituzione’, per motivi economici e quindi per lucrare pagando salari più bassi ­– magari attingendo oltrefrontiera – tra quelli già ritenuti abusivi per legge. Una misura difesa, e ci mancherebbe, dal suo ideatore, Matteo Pronzini (Mps): «Questa è l’unica proposta concreta per impedire un’ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro ticinese». E se Tamara Merlo (Verdi), della Commissione ‘Prima i nostri’, pur approvando l’iniziativa elenca i dati dei frontalieri esplosi sia in linea generale negli ultimi anni, sia nel settore terziario, «un settore che i ticinesi non hanno mai disdegnato», per Pronzini il problema è più ampio. «Non sono i frontalieri la questione, ma un padronato che li assume creando dumping salariale» afferma il deputato dell’Mps. A tenere banco è stata la forte presa di posizione di Alex Farinelli, capogruppo liberale-radicale, contrario all’iniziativa perché «non si menziona da alcuna parte la sostituzione di manodopera o un intervento sui frontalieri. Si agisce direttamente sul Codice delle obbligazioni, che riguarda tutti gli imprenditori che già vivono in un cantone che è campione del mondo di vincoli per i datori di lavoro». Inoltre, per Farinelli, questa iniziativa va a cozzare contro la pace del lavoro simbolo «della lungimiranza svizzera». Tesi questa che ha provocato prima una risposta di Carlo Lepori (Ps), che ha ribattuto come a suo avviso «la sostituzione per lucrare sugli stipendi non faccia assolutamente parte del concetto di pace del lavoro» e poi, più tonante, da parte di Gabriele Pinoja (La Destra). Per l’ex presidente dell’Udc, «il Plr ha sempre detto che bisogna andare a Berna a parlare, perché anche questa volta si oppone? Abbiano il coraggio di dire chiaro e tondo che per loro un comasco vale come uno di Ambrì e di dire che sono contrari a qualsiasi sostegno al nostro mercato del lavoro». Sempre ne La Destra, si è astenuto Sergio Morisoli. Non per il principio, ma perché «il testo è impregnato di un’ideologia della sinistra del secolo scorso».

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