Ticino

Dieci piccoli pornografi

Conclusa l’inchiesta sulla divulgazione di fotografie intime, alcune vittime erano minorenni

18 gennaio 2018
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Sono una decina e tutti ticinesi i ragazzi identificati nell’inchiesta, iniziata due anni fa, sulla divulgazione di decine e decine di immagini pornografiche di ragazze tra le quali alcune, all’epoca, minorenni. Lo comunicano Ministero pubblico, Magistratura dei minorenni e Polizia cantonale. Non è stata un’indagine facile, anzi. A confermarlo è Renato Pizolli, portavoce della Polcantonale, il quale afferma come fondamentale sia stata la collaborazione con gli Stati Uniti. «Abbiamo inoltrato una rogatoria internazionale perché lì ha sede il server di Dropbox dove erano stoccati i dati e le immagini in questione – spiega Pizolli – in maniera tale da ricevere le informazioni fondamentali per procedere all’identificazione degli autori». Identificazione avvenuta «grazie al recupero degli indirizzi Ip (un numero che identifica l’apparecchio che dà la connessione a internet, ndr)». In attesa dei dati dagli Stati Uniti, l’inchiesta è comunque andata avanti anche in Ticino. «Se da una parte ci si è concentrati sull’identificazione attraverso la collaborazione internazionale, dall’altra abbiamo fatto numerosi controlli anche in Ticino, acquisendo i telefoni per analizzarli a fondo, con le perquisizioni, con i sequestri e alla fine, incrociando quanto emerso con i dati arrivati dagli Usa, è stato possibile sviluppare l’inchiesta e arrivare a questo punto». L’indagine è durata due anni, un tempo che Pizolli giudica «molto soddisfacente».

Alcuni dei ragazzi finiti sotto inchiesta erano minorenni e l’approccio alla loro posizione è per forza di cose diverso. «Nel caso dei minori la pena deve avere un effetto di protezione ed educazione – risponde raggiunto dalla ‘Regione’ Reto Medici, magistrato dei minorenni – e dipende da quanto i giovani hanno già capito, da quanto si sono resi conto della portata delle azioni che hanno commesso». Sì, perché se «nel diritto penale degli adulti le pene hanno anche l’obiettivo di compensare la sofferenza delle parti lese e il danno procurato alle vittime, per quanto riguarda i minorenni – evidenzia Medici – la pena ha lo scopo di prevenire la recidiva, quindi che il fatto venga ripetuto, ma ha anche lo scopo di educarli e proteggerli, valutando persona per persona e caso per caso». E come si giunge a questo tipo di valutazione? «Attraverso il rapporto d’inchiesta, dove sono già comprese le informazioni sulla situazione personale del ragazzo che in questi casi chiediamo alla Polizia, e chiaramente con i fatti commessi. Il resto lo si ottiene vedendo di persona l’imputato, attraverso un verbale di interrogatorio. Durante il procedimento può essere chiesto l’aiuto di uno psicologo o di un educatore». Anche se Medici tiene a precisare che, in questo caso, sarà un parere che non verrà richiesto in quanto non se ne vede l’urgenza. Va da sé che la prevenzione assume un ruolo sempre più importante. Ed è ancora Pizolli a raccontare come «è un lavoro che la Polizia fa, sia a livello di comunicazione sia con il ‘Gruppo visione giovani’ che va nelle scuole, soprattutto alle Medie, a sensibilizzare i ragazzi». In che modo? «Gli spieghiamo come comportarsi. Qualsiasi foto che viene pubblicata sul web, sul web rimarrà per sempre. Bisogna che i giovani abbiano la consapevolezza delle possibili conseguenze che possono esserci nel sottovalutare i pericoli che si nascondono in internet». Le immagini diffuse, infatti, sono state raccolte attraverso due modi. Il primo tramite i social network dove le ragazze postavano proprie foto. Il secondo, quello riguardante foto private, tramite il tradimento della fiducia che queste ragazze avevano nella persona cui avevano fornito le immagini stesse.

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