Mendrisiotto

Arzo: l'estrazione del marmo rischia di morire

Nel 2017 avevano ridato vita all'attività, lÎ alle cave. Adesso il blocco delle esportazioni li ha messi terra. 'Se non arrivano commesse, chiudiamo'

Il lavoro è duro, la passione tanta (Ti-Press)
11 luglio 2020
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Dalle parti del Monte San Giorgio le pietre sanno raccontare una moltitudine di storie. Tanto quelle imprigionate fra gli strati della montagna, che rituffano nel mare del Triassico (252–201 milioni di anni fa) , che quelle cavate dal marmo. Queste ultime, oggi come ieri, parlano della fatica di mantenere in vita una tradizione antica. Il mestiere è duro (lo è da sempre), ma ancor più duro adesso è riuscire a sopravvivere. Proprio questo luglio saranno tre anni che Marisa Zucano e Dario Giovanola si sono buttati, anima e corpo, nella loro 'avventura' imprenditoriale: tornare a estrarre il 'macchia vecchia' lì ad Arzo. Una sfida professionale a cielo aperto che ha aggiunto senso all'operazione di recupero messa in atto dal Patriziato locale. Un intervento che ha restituito alla comunità locale la memoria del passato e al contempo la possibilità di immergersi in un paesaggio del tutto singolare (come nel caso dell'anfiteatro, palcoscenico naturale di tante manifestazioni), entrato a far parte del circuito turistico del Mendrisiotto. In effetti, agli inizi di entusiasmo ce n'era a tonnellate alla M B-Cave marmo di Arzo Sagl.

'Il Covid ci ha destabilizzato'

"Quando abbiamo aperto, nel 2017, credevamo in questa attività  e nel Paese (la Svizzera, ndr) che ci ha dato questa opportunità - conferma a 'laRegione' Marisa Zucano -. Ora come ora, invece, stiamo perdendo anche la speranza. Ecco qua, altre imposte da pagare - commenta aprendo la posta di giornata -: ci stanno facendo collassare", dice tra lo sconforto e la rabbia. Alle difficoltà in cava ci sono abituati, ma l'emergenza sanitaria da Covid-19 e il blocco forzato, questa volta, rischiano di dare il colpo di grazia alla ditta e con essa a un filone della storia locale. "Riprendere con il lavoro non è facile - ammette la titolare -. Per non licenziare (noi compresi siamo in quattro) abbiamo fatto capo al lavoro ridotto, ma le spese fisse restano". Eppure, fa capire Marisa Zucano - basterebbe poco per restituire quel po' di fiducia indispensabile per non gettare la spugna. "La nostra paura è di essere arrivati a un punto di non ritorno", confessa. E qui si sovrappone la voce del socio, Dario Giovanola: "Se chiudiamo noi, si chiude per sempre con questa attività e la sua storia". Una realtà che ha sfamato tante famiglie del posto.

'Stiamo bussando a tutte le porte'

Per allontanare questa idea Marisa e Dario stanno bussando a tutte le porte. Sinora, in verità, senza tropo successo. "Ci siamo rivolti anche alle istituzioni, persino al Dipartimento federale dell'economia - spiegano -: riceviamo tanta comprensione, certo, ma subito dopo ci dicono che non possono aiutarci. Insomma, nulla di concreto". Ne sono consapevoli, sin qui hanno lavorato con il mercato estero - "in prevalenza Stati Uniti, un po' di Cina, India oltre all'Italia, in Europa, ma ora le esportazioni sono tutte bloccate" -, ma avrebbero sperato che anche dal bacino ticinese, quello di casa, potesse arrivare qualche commessa. "Questa è una cava piccola, di nicchia - tra l'altro in questi anni ci abbiamo messo mano e l'abbiamo risanata, non senza dei sacrifici -, ma ci aspettavamo di ricevere degli ordini, anche piccoli, per farci sopravvivere (soprattutto in questo momento). Invece, mai niente". Si è lavorato un po' fino ad aprile, poi l'estrazione, di fatto, si è fermata. In giacenza c'è già fin troppo materiale.

'Non abbiamo mai visto una commessa ticinese'

Dario Giovanola fra i due è il più pessimista. Forse perché lui la cava la conosce in ogni sua venatura: ci lavora da 15 anni; era qui già con il vecchio proprietario, la famiglia Rossi. "Io la vedo già chiusa ", ci confessa con amarezza. All'ombra del San Giorgio non si capacitano come mai, con tutto il fermento edilizio di questi anni in Ticino, mai nessuno abbia pensato di utilizzare il marmo di locale. "A parte qualche eccezione, per le grandi opere che abbiamo visto mettere in cantiere  (anche a poca distanza da qui), così come nei lavori di ristrutturazione e restauro - sono numerose le chiese in cui si trova il 'macchia vecchia' come altri tipi di pietra di casa, ndr - non è mai giunta alcuna richiesta. E il pensiero va soprattutto al settore pubblico. È un vero peccato". Tant'è che Giovanola sta persino pensando di cambiare mestiere. "Personalmente mi sto arrendendo: non ce la facciamo più a stare nel budget. E allora ti domandi se ne vale ancora la pena". Marisa e Dario lo fanno capire chiaramente: loro si sono rimboccati le maniche, ora, però, si sentono un po' abbandonati a loro stessi. "Ci domandiamo - rilanciano - se c'è la volontà di salvare la cava di marmo di Arzo, quindi la tradizione locale, così come si è fatto nel Sopraceneri, oppure no".

'Il prezzo? Oggi siamo concorrenziali'

In un tempo in cui si invita a valorizzare i prodotti a chilometro zero, anche il marmo, come il granito, meriterebbe un posto nel mercato cantonale. Ad Arzo se lo aspettano. Andiamo, però al sodo: per sua stessa etimologia, il marmo è la 'pietra splendente', quella che ornava i Palazzi. È ancora un lusso per pochi? "Direi proprio di no - ci risponde Giovanola -. Quanto a prezzi siamo nella media delle altre pietre. Anzi, direi che siamo concorrenziali: ci posizioniamo persino al di sotto di altri materiali simili. Un po' in tutto il settore i costi sono scesi (si spende meno per le tecniche di estrazione): quindi pure il 'macchia vecchia' si piazza bene". Dovessimo fare delle cifre, per capirci? "Siamo sui 300-400 euro la tonnellata. Più o meno sui livelli del 'Lodrino (il granito, ndr)'. Come dire (ai committenti), non ci sono più 'scuse' che tengano.

 

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