Mendrisiotto

'Pericolo di morte non immediato. Ma situazione indegna'

Lisa Bosia Mirra a processo in Appello racconta perché nel 2016 ha voluto aiutare i profughi che si trovavano a Como. 'Ho visto i segni di un tentato suicidio'

Ti-Press
10 settembre 2019
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Chiede l’assoluzione Lisa Bosia Mirra, l’ex deputata socialista a processo da stamattina di fronte alla Corte di Appello e revisione penale presieduta dalla giudice Giovanna Roggero Will. A essere contestata è la condanna a 80 aliquote giornaliere, sospesa per in periodo di prova di due anni, stabilita dalla Pretura penale per ripetuta incitazione all’entrata, alla partenza e al soggiorno illegale. Dal 18 agosto al 1° settembre del 2016, giorno in cui è stata fermata a San Pietro di Stabio, Bosia Mirra ha aiutato 24 cittadini stranieri – tra loro vi sarebbero stati anche dei minorenni «ma non ho avuto modo di verificare l’età che mi veniva detta» – sprovvisti di documenti. «Queste persone non vivevano in un campo attrezzato ma nel parco antistante la stazione ferroviaria di Como San Giovanni».

Tre anni fa a Como

Per permettere alla Corte di ascoltare dalla voce di Lisa Bosia Mirra quanto visto con i suoi occhi durante l’emergenza migranti dell’estate 2016, l’avvocato Pascal Delprete ha rifiutato la procedura scritta proposta dalla giudice. «Il caso è sensibile», ha motivato il legale.

La prima parte del dibattimento è stata dedicata al racconto di quei giorni dell’estate di tre anni fa e all’attività dell’associazione Firdaus, fondata e presieduta da Bosia Mirra. «La mancanza più grave era la mancanza di informazione che abbiamo tentato di supplire con l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)». Sul posto lavoravano diverse associazioni. «Abbiamo cercato di coordinarci – ha ricordato Bosia Mirra –. La collaborazione più importante è stata quella con la parrocchia di Rebbio che, pur non essendo abilitata, accoglieva i minori non accompagnati in un numero assolutamente sproporzionato rispetto alle sue capacità».

‘Situazione indegna per qualsiasi essere umano’

Bosia Mirra ha motivato il suo agire con ragioni umanitarie. «È vero che su quel giardino non piovevano bombe e il pericolo di morte non era immediato. Ma volevo allontanarli da una situazione, quella di Como, assolutamente intollerabile, difficile, frustrante e indegna per qualsiasi essere umano». Ha poi raccontato alla corte «una delle situazioni più sensibili», ovvero il tentativo di suicidio di una delle persone che ha poi aiutato. «Mi ha indicato di aver tentato di impiccarsi alla stazione di polizia di frontiera per non evitare la terza deportazione a Taranto. Non gli ho creduto perché non aveva il segno della corda, ma quando ha aperto la camicia i segni di rianimazione erano ancora evidenti e al polso aveva il braccialetto rosso delle urgenze». Al capo vi erano anche «bambini piccoli con la scabbia».

Il criterio: la vulnerabilità

Il criterio per scegliere le persone da aiutare era «la vulnerabilità, dettata anche da torture, stupri o tentativi di suicidi». Bosia Mirra ha ammesso che «in maniera molto ingenua perché pensavo di conoscere la legge sull’asilo» ha offerto il suo aiuto, che consisteva nell’accompagnare i migranti dalle Guardie di confine per presentare domanda di asilo. «Per me non era chiaro, l’ho capito solo a posteriori, quale fosse il criterio sulla base del quale le Guardie lasciavano entrare alcune persone e ne respingevano altre. Tengo comunque a precisare che in alcuni casi la collaborazione ha funzionato molto bene».

Oggi l’ex deputata è «assistente sociale presso un’associazione» di cui ha preferito non fare il nome dato che, ha precisato, «questo procedimento penale e la rilevanza mediatica che ha avuto, hanno pesato gravemente sulla mia vita privata e ho avuto difficoltà a trovare un nuovo lavoro».

Ancora oggi, ha aggiunto l'ex deputata, «ricevo insulti e minacce».

A breve parola alla procuratrice pubblica Margherita Lanzillo.

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