Mendrisiotto

La seconda vita svizzera di Sohail

Il 26enne afghano racconterà la sua storia al Primo Agosto senza frontiere domani in piazza Indipendenza a Chiasso

31 luglio 2019
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Sohail ha il passato tatuato sulla sua pelle e nel cuore, ma negli occhi ha solo il futuro. Ventisei anni, afghano, ha visto da vicino quanto male possa fare l’odio. Eppure a quell’odio ha saputo rispondere con l’amore. Nonostante i talebani abbiano fatto strage della sua famiglia; e solo perché lui, adolescente, aveva lavorato come traduttore per la Nato. La madre, sopravvissuta, lo spinge a fuggire. Approda in Svizzera, prima a Basilea poi a Lucerna. E qui ha trovato una seconda vita, una famiglia, amici e la forza di aiutare altri rifugiati come lui. Tanto da creare un’associazione che oggi conta oltre 200 volontari e crede che l’integrazione passi per la conoscenza. Un messaggio che domani porterà in piazza Indipendenza a Chiasso al Primo d’agosto senza frontiere.

A che punto è la domanda d’asilo?

Da più di tre anni vivo in Svizzera, due settimane fa ho ricevuto la risposta dall’Ufficio migrazione con il permesso F. Non ho la possibilità di uscire dai confini svizzeri. Ma da due anni sono indipendente economicamente grazie al mio lavoro di cameriere e sono volontario presso l’associazione ‘Education for Integration’.

Sohail, se dovesse darsi uno ‘statuto’, fuori dalla terminologia burocratica, come si definirebbe?

Un essere umano.

Gli svizzeri con che occhi la guardano? E lei come guarda gli svizzeri?

Una volta superata la barriera iniziale, gli svizzeri mi guardano con amore e rispetto. E io faccio lo stesso.

Il suo passato in Afghanistan porta con sé un fardello di dolore: come è riuscito a sopravvivere?

Per me vivere in Svizzera è stato un nuovo inizio. Con l’aiuto dei miei amici, della mia famiglia svizzera e della mia missione, il progetto ‘Education for Integration’, sono riuscito a ritrovare un po’ di serenità, anche se convivere con il mio passato non è sempre facile.

Rifugiato, lei lavora con i rifugiati. Si parla tanto di integrazione: quali sono le parole chiave per riuscire a conoscersi?

Accettarsi l’un l’altro quali esseri umani e accettare ognuno come un potenziale amico. Come amici ci teniamo l’uno all’altro, e siamo in grado di interessarci gli uni agli altri. In questo senso sono essenziali i punti di incontro tra rifugiati e persone del luogo. Per questa ragione con la nostra associazione creiamo eventi come feste, cene e ‘Sprachcafé’ dove, in maniera spontanea e semplice, si favoriscono il dialogo e l’amicizia.

Lei ha trovato una strada verso l’integrazione e la convivenza con la creazione dell’Ong ‘Education for Integration’. Ha trovato anche aiuti e alleati?

Durante il mio percorso sono stato aiutato moltissimo dal mio amico Lars e dalla mia famiglia svizzera. Per quanto riguarda la creazione dell’Associazione ‘Education for Integration’ sono stati essenziali l’aiuto dei miei amici e dei tanti studenti che hanno supportato il progetto. Inoltre, Amnesty International ci è stata di grande aiuto, così come vari bar, club e circoli culturali a Lucerna, in particolare Neubad, Uferlos e Treibhaus.

Ha un sogno? Quale?

Il mio sogno è quello di aiutare, nel mio piccolo, le persone più bisognose e cercare di avvicinare i cuori delle persone attraverso il dialogo. Quando avrò un permesso, sarà per me più facile riuscire a recarmi anche in altri Paesi dove la gente ha bisogno di aiuto. E vedere il mondo senza frontiere.

Qui ha trovato una seconda famiglia: cosa è per lei oggi la Svizzera?

La mia casa, un luogo dove sono rinato e dove ho trovato il significato della mia vita.

Tornerà mai in Afghanistan?

Un giorno spero tanto di avere la possibilità di vedere la mia mamma, che si trova attualmente in Afghanistan e mi manca tanto.

*traduzione di Giada Crivelli

 

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