Mendrisiotto

Quell'affetto tradito

Alla sbarra genitori (e nonno) accusati di aver pesantemente maltrattato i figli. Il processo riprende tra poco a Lugano con le arringhe difensive.

(Ti-Press)
20 dicembre 2018
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«I bambini sono come il cemento umido, tutto quello che li colpisce lascia un’impronta». Sono le parole dello psicologo Haim Ginott, riecheggiate anche ieri nell’aula della Corte delle assise criminali di Mendrisio. Perché – sebbene alla sbarra siano comparsi tre adulti – è di bambini che si è parlato. Dei quattro figli della coppia, vittime di inaudite violenze psichiche e fisiche perpetrate nell’abitazione di Chiasso dal 2016 (e anche prima, quando risiedevano in Italia) sino all’inizio del 2017. Lei, madre oggi 38enne e in carcere dal gennaio 2017, – stando agli atti accertati dall’inchiesta della procuratrice pubblica Valentina Tuoni – in oltre un centinaio di occasioni ha picchiato i propri figli di età compresa tra i 12 mesi e i 7 anni. Una violenza, quella riscontrata dalla pp, che qualifica in diversi episodi il reato di tentato omicidio intenzionale (o in alternativa ripetute lesioni gravi o esposizione a pericolo della vita altrui), con la conseguente richiesta di pena fissata in 9 anni da espiare, oltre all’espulsione dalla Svizzera per 10 anni. Quella Svizzera, identificata in Chiasso, utilizzata per ‘scappare’ dall’Italia siccome, ha ravvisato il presidente della Corte Mauro Ermani, c’erano già «gli assistenti sociali alle calcagna». Per l’accusa si è assistito chiaramente a «un crescendo di violenza che ha visto la madre colpire i propri figli con fibbie, cinture, tacchi». Poi i casi ancor più gravi, a partire dal pugno sferrato alla testa del figlio più piccolo che si trovava in braccio al marito». Un pugno che – ha evidenziato Tuoni durante la requisitoria citando i periti – poteva «comportare un pericolo concreto di vita e di lesioni permanenti». Mani, quelle della donna difesa dall’avvocato Pascal Cattaneo, utilizzate anche per afferrare il collo di un altro figlio» fino a fargli «mancare il respiro». O ancora colpi in testa con una ciabatta e calci, arrivando a provocare i «sintomi di una commozione cerebrale». Madre che, in un’occasione precisa, ha dimostrato di «sapere quali potessero essere le conseguenze», avendo infatti detto al figlio, subito dopo la violenza: ‘Mamma ti stava ammazzando’. Rabbia che si scatenava per futili motivi come ad esempio per il fatto – ha detto la donna in aula – che il figlio non avesse messo via i

giochi o perché non avesse indossato i vestiti da lei preparati. Azioni alle quali si aggiunge la violazione del dovere d’assistenza o educazione, esponendo – si legge nell’atto d’accusa – a pericolo lo sviluppo fisico e psichico, facendoli vivere e crescere (i figli, ndr) in un clima di privazioni, di violenza e di paura”. Quelle violenze esplose anche – reciprocamente – tra moglie e marito, tra madre e padre. A tal punto da arrivare a prendere un coltello e colpire al collo il marito. Quattro anni da espiare (ed espulsione dalla Svizzera per 10 anni) sono invece stati chiesti nei confronti del marito 33enne – difeso dall’avvocato Stefano Camponovo –, accusato di ripetuto abbandono, ripetuta coazione nonché vie di fatto. Violenze

soprattutto nei confronti della moglie, almeno in 96 occasioni. Anche in questo caso la procuratrice pubblica ha ricordato «pugni, sberle in faccia, calci». Uomo che, è emerso in aula, ha fotografato quanto la moglie facesse ai propri figli: immortalando i lividi. «Li fotografavo per un’eventuale denuncia che comunque non ho mai deciso di sporgere» ha spiegato al giudice. «Collezionava le fotografie dei bambini martoriati – ha controbattuto l’accusa – per minacciare la moglie» nel caso se ne volesse andare o «quando gli faceva credere di avere un amante». Lo ha fatto per «finalità puramente egoistiche, non curante della salute fisica dei suoi bambini». Ventiquattro mesi di detenzione (senza opporsi a un’eventuale sospensione della pena), controbattuta dalla richiesta di proscioglimento da parte del legale della difesa Marco Masoni, sono invece stati proposti nei confronti del nonno paterno, classe 1955, (assente in aula per cui si è proceduto in via contumaciale). Un uomo – colpito in passato da una condanna per abusi sessuali nei confronti di una figlia – che sapeva ciò che succedeva: da qui l’ipotesi di reato nei suoi confronti di violazione del dovere d’assistenza per aver omesso di prendere le necessarie misure a protezione dei nipoti. Il procedimento riprenderà questa mattina con le arringhe difensive degli avvocati dei genitori. La sentenza è attesa verosimilmente in giornata.

 

Un futuro ancor più difficile

«La vera sfortuna di questi bambini è proprio quella di non aver potuto scegliere in che famiglia nascere». A loro quattro è toccata una realtà familiare che «alla lunga li ha distrutti». Perché quei figli – ha sottolineato in aula l’accusatrice privata, l’avvocata Maria Galliani – «sono stati trattati dalla madre come una valvola di sfogo». Un passato zeppo di violenze, psichiche e fisiche, che i bambini si portano, loro malgrado, anche nel presente. E così sarà anche nel futuro. Lo sostengono gli specialisti che li seguono. Il più grande, ha sottolineato Galliani, ha «un quadro psicologico compromesso ed esprime una grande paura di dover incontrare la madre». A questo si aggiunge, oggi, lo sviluppo di «un forte senso di vergogna per quanto sopportato». Non di meno, ha rilevato, «è ancora schiacciato dalla responsabilità di proteggere i propri fratelli, responsabilità che si è assunto all’età di sette anni». Un passato ancora presente e quanto vissuto rende faticoso «costruire rapporti di fiducia con gli educatori o i compagni». Un «sonno molto disturbato» scandisce invece le notti del secondo figlio, il quale vive in uno stato di «frequente ipervigilanza e irrequietezza», dimostrando inoltre «atteggiamenti aggressivi sia verbali che fisici». Ancora oggi, è stato rimarcato, «si nasconde dentro gli armadi». E poi quella frase, che pronuncia oggi a nove anni: «Mia mamma non può uscire dal carcere, se lo fa mi ammazzo». La terza figlia, affetta da problemi sin dalla nascita, «pare aver rimosso», anche se «compaiono dei flash». Poi c’è il più piccolo che «mostra le conseguenze più importanti e tragiche». Oggi, a quattro anni, «non parla, emette qualche suono e qualche parola sparsa» Fatica «a muoversi e a controllare i suoi gesti». A livello cognitivo, ha evidenziato, è stata riscontrata «un’età mentale molto inferiore a quella di un bambino di due anni». Si arriva a «ipotizzare un disturbo post traumatico da stress, come i reduci di guerra». Un quadro difficile, quello descritto da Galliani, con un desiderio: «Vorrei tanto che gli imputati capissero cos’hanno fatto vivere ai figli e ai nipoti», oltre «ai danni che hanno creato con questo comportamento». E, a mente della legale, salvo qualche indicazione iniziale, «mai hanno espresso una sola parola di rincrescimento».

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