Mendrisiotto

'Siamo una comunità in ginocchio'

Impiegati del Comune di Campione d'Italia, vivono da anni nel Mendrisiotto. Senza salario da sette mesi, oggi si dibattono fra le bollette da pagare

(foto Ti-Press)
18 agosto 2018
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«Ma ce lo possiamo ancora permettere?». Da qualche tempo se lo sentono chiedere sempre più spesso dai loro figli. Da quando la serenità di avere un posto sicuro, da dipendente pubblico del Comune di Campione d’Italia, e uno stile di vita senzaseesenzama è svanita da un giorno all’altro. Sono diverse le famiglie (in alcuni casi monoreddito) che da anni hanno scelto di vivere nel Mendrisiotto, perché qui è stato più facile trovare o costruire casa. Fanno parte di quegli oltre 2mila cittadini Aire (gli italiani all’estero) del Borgo che affaccia sul Ceresio. Il punto è che in terra ticinese le spese fisse –mutuo, imposte, servizi – corrono, ma la busta paga, quella, è rimasta congelata a gennaio. Anzi, in realtà non l’hanno proprio più vista da sette mesi a questa parte. Un bel cambiamento nell’esistenza di un nucleo famigliare. «Per noi come per i nostri ragazzi è stato destabilizzante – ci dice uno degli 86 impiegati (su 102) che si ritrova a fare i conti con lo spettro della mobilità –. I più piccoli si chiedono perché è successo tutto questo; e faticano a capire. I più cresciuti si caricano sulle spalle responsabilità ben più grandi di loro». Il punto è che, fallita la casa da gioco e dichiarato il dissesto dell’amministrazione comunale, oggi è difficile vedere la luce in fondo al tunnel. Come non è facile, ci fanno capire, tenere unita la famiglia in queste circostanze. Chi può contare su una seconda entrata, cerca di far quadrare comunque il bilancio casalingo; gli altri non sanno più a che santo votarsi. Tutte storie, ci fa notare con un po’ di amarezza, passate sotto silenzio.

‘Senza scuola e senza posto’

Francesca Medici era – purtroppo le tocca parlare al passato – une delle maestre della scuola dell’infanzia. Ancora non si capacita che a settembre l’asilo non riaprirà dopo le vacanze estive. Che il suo lavoro non c’era più, lei, lo ha saputo ai primi di maggio. «Ce lo hanno comunicato per lettera che eravamo stati licenziati, in tronco», ci racconta. A condividere la stessa sorte, in totale, all’istituto scolastico sono altre otto persone, in altri servizi (subappaltati dal Comune) ben di più. «Il fatto è che tutto è successo senza un preavviso, una trattativa preventiva con l’amministrazione», rimarca l’insegnante. In questo caso a ‘cancellare’ posti di lavoro e servizio è stata la Fondazione che gestisce la scuola e che per la gran parte è sovvenzionata dal Comune (oltre che dalle rette delle famiglie e da contributi statali). Anche qui, esaurite le risorse, si è chiusa l’esperienza della materna, frequentata da oltre una cinquantina di bambini: campionesi, altri cittadini italiani che abitano in Ticino ma pure ticinesi. «I genitori non hanno ricevuto nessuna comunicazione in merito – fa notare ancora Francesca Medici –. E ora non sanno come fare». Maroggia e Bissone hanno dato la loro disponibilità ad accogliere i piccoli. «Ma con una comunità in ginocchio – richiama un altro impiegato –, è quasi impossibile coprire le spese». Non solo, rilancia la docente: «Nelle nostre cucine si preparavano i pasti anche per le elementari e le medie (statali, ndr): un’ulteriore prestazione che non c’è più». In realtà, sulle prime la maestra non si è abbattuta, come ci racconta. «Quella missiva l’ho presa come una provocazione del nostro presidente nei confronti del Comune, che non versava più i finanziamenti. Poi quando si è finiti in dissesto ho avuto la certezza che il mio licenziamento era senza ritorno». E a quel punto per lei, come per altri lavoratori, sono cominciati i veri problemi. «Quello che sta capitando a Campione – tira le somme Roberto Ramanzina, dipendente comunale e delegato sindacale – è innanzitutto un fallimento sociale». Nessuno, del resto, si immaginava sarebbe finita in questo modo. «Noi come maestre – tiene a ribadire Francesca – non avremmo mai pensato che la scuola potesse chiudere». «E noi dipendenti pubblici – fa eco un collega di sventura – non avremmo mai messo in conto di doverci dibattere in una situazione, per statuto – il rapporto di esclusività che lega il personale al Comune, ndr –, senza via di uscita». Così mentre a Campione vanno in scena le schermaglie della politica e le polemiche, il personale pubblico e quello del casinò (pur ritrovandosi sulla stessa barca) si fanno la guerra. Senza rammentare che sono le famiglie, alfine, a pagare il prezzo più alto. «Le scadenze si accumulano e a volte non ci sono i mezzi per farvi fronte: non sai a quale bolletta dare la precedenza. E i ragazzi percepiscono tutte queste tensioni, ritrovandosi confrontati, loro malgrado, con la dura realtà della vita degli adulti. Così si chiedono come mai le istituzioni non tutelano le famiglie». Morale: in tanti si sono visti costretti a chiedere dei prestiti in banca.

Nel frattempo, dal 9 agosto è scattato il conto alla rovescia verso la mobilità. «Ormai – ci spiega Marco Boffa, pure lui dipendente comunale e al contempo delegato sindacale – non si sta facendo altro che prolungare l’agonia di queste famiglie, rimaste senza retribuzione. Per di più dopo il fallimento del casinò, la loro condizione è finita nel dimenticatoio». E pensare, lascia intendere, che già da parecchio tempo c’era più di qualche avvisaglia. «D’altra parte, non si sono mai ostacolate le trattative orientate a ridurre i costi», ribadisce. Così come le maestre avevano già accettato di decurtare il loro stipendio cinque anni orsono.

Le compagnie assicurative lasciano

Alla vigilia del Ferragosto, poi, si è aggiunta un’altra novità. «A casa ci è stata recapitata una comunicazione dalla nostra società d’assicurazioni. Di fatto, una volta scaduta la polizza non avremo più una copertura per la nostra abitazione: ci hanno dato la disdetta – ci conferma uno degli impiegati comunali –. I motivi? La situazione di Campione», ci dice mostrandoci lo scritto. Sulla missiva, in effetti, si legge che “questa decisione è legata alle evoluzioni e agli obblighi legislativi che ci inducono a rinunciare a operare nell’enclave di Campione d’Italia e a limitare le nostre attività al territorio svizzero”. «E ho saputo – rincara – che la mia non è la sola compagnia svizzera ad aver tagliato i ponti. Se ne scappano». La posizione (anche debitoria) del Comune con il Ticino e le sue istanze si è fatta spinosa. Non sembra esserci la percezione, ci rendono attenti, che tanti servizi essenziali rischiano di non essere più assicurati: dai lavori di manutenzione alla casa anziani (la cooperativa che si occupava di pasti e assistenza ha risolto il contratto). Come uscirne? «Come sindacati – ci risponde Boffa –, senza voler fare politica o disquisire sulle responsabilità (toccherà alla magistratura), ci domandiamo perché non si sia evitata questa sofferenza. Ora solo istituzioni centrali potrebbero risolvere la situazione».

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