Mendrisiotto

'Casa mia col tetto crollato è qualcosa che non dimentico'

Era il 5 marzo 2016 quando il servizio sgombero neve gettò una 'valanga' su un'abitazione di Capolago. Siamo tornati sul posto per incontrare la proprietaria

Foto Lippi
14 agosto 2018
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Entri nel soggiorno e mai diresti che, all’incirca due anni e mezzo fa, in quegli spazi si è sfiorata la tragedia. Cucina e tavoli sono nuovi, il tetto e il sottotetto sono stati rifatti. Segni evidenti non ce ne sono. «Le uniche cicatrici sono i segni lasciati sulle piastrelle, dove è sceso tutto». Piccole scalfitture originate dalle tegole (e dal materiale presente nel sottotetto) cadute alle quali, a prima vista, non si darebbe alcun significato.

Eppure, per Manuela Ricciardelli e il marito Antonio, significano molto. Il 5 marzo 2016, infatti, la loro abitazione di Capolago fu letteralmente travolta da una valanga di neve proveniente dal sovrastante viadotto dell’autostrada A2. Le cause, apparse sin da subito chiare, sono da attribuirsi al servizio di sgombero neve: mezzi pesanti in azione, a causa della copiosa nevicata, che avevano riversato la neve ben oltre le protezioni, facendola cadere sul tetto della casa, sfondandolo (vedi foto scattate un paio d’ore dopo l’accaduto). Quel sabato mancava qualche minuto a mezzogiorno, istanti che in via Calchera verranno ricordati per sempre. Fortunatamente nessuno è rimasto ferito anche perché – spiegava due giorni dopo a 'laRegione' Antonio Ricciardelli – «stavo uscendo perché stavamo andando a fare la spesa». Seduti attorno al tavolo della cucina, con Manuela ripercorriamo quel fatidico giorno: «Mi viene la pelle d’oca – ci confida –. Tanto spavento. Rivedo la scena di quando entro in casa con il tetto crollato. È una cosa che non posso dimenticare». Poi, però, la mente corre ad altre tragedie che si sono susseguite nel mondo, anche recenti, e Manuela si sente per certi versi fortunata: «A noi la casa è rimasta».

‘Tanti giorni passati fuori casa, ma nessuno in ospedale’

Tetto, sottotetto, parte della cucina, l’arredamento, le piastrelle, il gazebo esterno, il barbecue in cemento e la facciata dell’abitazione rovinata. Una conta dei danni che, tradotta in soldoni, arriva a sfiorare gli ottantamila franchi. «Per fortuna senza spese ospedaliere» aggiunge Manuela. Dieci giorni dopo il fatidico 5 marzo il tetto era già stato ricostruito. Per gli interni, ovviamente, c’è voluto più tempo. Il Cantone, ad ogni modo, «ci ha risarciti», rimborsando «anche i giorni passati fuori casa». Manuela e Antonio, infatti, per permettere i lavori di ripristino hanno passato due mesi da una parente ma – evidenzia ancora una volta Manuela – «nemmeno un giorno in ospedale».

In ogni caso, specifica la nostra interlocutrice, «non ci siamo mai sentiti abbandonati». Fin da subito, infatti, le varie parti si sono attivate per permettere che la situazione rientrasse il prima possibile alla normalità. L’unico disguido, nei mesi a venire, è stata «un’infiltrazione d’acqua, ben presto risolta». I danni, come detto, si riparano. Ma la mente? «Ho passato dei giorni non tanto belli», ammette Manuela. Anche nei mesi a seguire, quando tutto si è risolto: «Quando pioveva ci pensavo, avevo un po’ di paura, ma ora è passato». Tutto è bene quel che finisce bene, si dice in questi casi, pur riservando un monito. Di neve ne scenderà ancora (cambiamenti climatici permettendo) e le strade andranno comunque sgomberate dalla coltre. Quanto successo nel marzo di due anni fa in via Calchera a Capolago «spero serva anche un po’ da lezione, che si faccia un po’ più di attenzione»

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