Mendrisiotto

In aula la presunta prestanome della 'ndrangheta

Secondo atto del processo che ha già visto condannare l'uomo di fiducia e l'ex fiduciario di Chiasso. La donna deve rispondere di riciclaggio

(Ti-Press)
5 marzo 2018
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Si è aperto e si è chiuso dopo solo un'ora e mezzo, stamane, lunedì, a Bellinzona, il processo nei confronti di Antonella Di Nola, la 48enne oggi ex moglie di Domenico Martino, fratello del boss Giulio. La donna è accusata di aver funto da prestanome della cosca  e di aver riciclato denaro provento del traffico di stupefacenti dell'organizzazione, la 'ndrangheta calabrese. Ciò che si sta dibattendo nell'aula del Tribunale penale federale non è che il capitolo finale della vicenda che ha già visto alla sbarra Franco Longo, l'uomo fiducia della 'famiglia' in Svizzera, e l'ex fiduciario nonché municipale di Chiasso Oliver Camponovo, per i giudici la 'spalla' dei fratelli Martino nel rimettere in circolo i soldi frutto dei loro 'affari'. Ruoli i loro valsi, il dicembre scorso, al primo una condanna a 5 anni e mezzo per organizzazione criminale e riciclaggio di denaro, al secondo una pena di 3 anni (in parte sospesi) sempre per riciclaggio. Una volta di più al centro dell'attenzione della giustizia c'è in particolare il movimento di capitali transitati sul conto cifrato 'Adamo'. 

Questa mattina a determinare la battuta d'arresto del procedimento sono state le richieste avanzate dalla difesa della 48enne, sostenuta dall'avvocato Gabriele Banfi, alla Corte presieduta dal giudice Giuseppe Muschietti. Banfi ha sollevato una serie di questioni di principio nel solco di quanto già fatto i suoi colleghi nel processo precedente. In sostanza, il legale ha lamentato «gravi lesioni dei diritti della difesa» e ha richiamato l'«unilateralità dell'inchiesta», finendo col chiedere di rinviare l'incarto (e le accuse) al Ministero pubblico della Confederazione per un complemento dell'istruttoria. 

Dal canto suo, il procuratore federale Stefano Herold, ha respinto in toto al mittente le rivendicazioni della difesa, ritenute «infondate e manifestamente tardive». L'atto d'accusa che vede la donna coimputata con Longo e Camponovo, ha ribadito Herold, è «preciso» e circostanziato. Del resto, ha ricordato, l'ossatura accusatoria ha già retto alle eccezioni sollevate nel primo processo di dicembre.  Tant'è che è stato considerata «conforme alle disposizioni del Codice di procedura penale» e ha permesso di condurre a termine il dibattimento, sfociato poi in una condanna.

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