Dopo decenni lascia il Mendrisiotto e concentra a Grancia. La storia di un immigrato che ha fatto breccia nei ticinesi parlando in dialetto (in Tv)
‘Crispas’. Proprio non se lo aspettava Felix Karoubian di dover chiudere il negozio di Morbio Inferiore e lasciare il Mendrisiotto. Qui nel distretto ci ha trascorso anni, anzi decenni: a Mendrisio, a Balerna, ma anche a Chiasso, dove per otto lustri ha esposto negli spazi di un garage della cittadina. La crisi?, gli chiediamo approfittando di una pausa tra un cliente e l’altro. «Cosa ne pensa? Bisogna dire le cose come sono: è un problema di mercato, di tendenze, di cambiamento dei gusti e delle abitudini, di difficoltà a trovare la merce giusta. Bon, è così – riconosce nel suo italiano che tradisce un’evidente inflessione francese –: una volta si potevano avere più punti vendita, ora la gente si sposta, anche fino a Grancia». Lui, infatti, riparte da lì. Anche se gli spiace andarsene, perché qui nell’estremo Sud del Ticino si trovava bene: «Ma non molliamo». Fa parte del suo carattere? «Fino a quando si può». Di strada, del resto, Karoubian, 61 anni, ne ha fatta parecchia, sorriso aperto e una empatia naturale. Lei ha dimostrato di essere un grande comunicatore: immigrato figlio di immigrati tunisini ha saputo trovare il linguaggio giusto per fare breccia nei ticinesi. «Ma non l’ho cercato – ci dice con semplicità –. L’ho fatto». Le è venuto naturale? «Se l’avessi cercato, non sarebbe stato tanto spontaneo. La gente lo ha sentito e lo sente e questo mi fa felice. Anche stamani – il giorno dell’intervista, ndr – sono arrivati da Airolo e da S. Moritz per un tappeto Karoubian o anche solo per curiosare».
Qual è il segreto? «Io sono come il dialetto ticinese: diretto». A proposito del dialetto, forse è proprio questa la chiave di volta. «Di sicuro nel nostro piccolo siamo stati tra i primi in Ticino a portare una pubblicità particolare, in dialetto appunto. Che hanno copiato. E questo è appagante». Perché ha scelto di comunicare nel lessico nostrano: lo ha imparato facilmente, o lo ha interiorizzato? «Io lo capisco ma non lo parlo – confessa –. Ho familiarizzato con alcune espressioni, che ormai fanno parte di me. Ho iniziato facendo il porta a porta, il lavapiatti e ho incontrato i ticinesi che mi parlavano in dialetto. Mi è sempre piaciuto: è così bello e sincero, senza mezzi termini. Purché si bandisca la volgarità». È stato un modo per integrarsi? «Non ci ho mai pensato – ci dice –. Non ho mai fatto le cose pensando a questo aspetto. Io mi sono integrato: dove poso i miei piedi, quella è la mia terra. Sono qui da 40 anni – in Ticino è arrivato che ne aveva 20, ndr –: adesso le mie radici sono qui. Comunque quando sono arrivato a fare il lavapiatti mi trovavo già bene. D’altro canto, io mi trovo bene dappertutto. Ciò che conta è il rispetto reciproco, e l’educazione: sono la cosa principale. Il resto va». Vita avventurosa, la sua. «Direi ‘kamikaze’. Da giovane, d’altra parte, tutto va in fretta; si fanno le cose senza pensarci troppo. Con passione, entusiasmo». In 40 anni in Ticino cosa è cambiato, anche nei confronti degli stranieri? «Mi dica lei cosa non è cambiato a questo mondo – ci fa notare –. Tutto è cambiato. Però il dialetto no. Anzi, ha ripreso vita. Indirettamente anch’io avendolo usato in pubblicità, ho contribuito: 30 anni fa non lo si parlava tanto, si preferiva l’italiano. Lo si è riscoperto dopo. Sta di fatto che io, grazie al dialetto, sono entrato nelle famiglie. Non per simpatia o altro, mi vedono e trasmetto gioia. Anch’io non so spiegarmi il motivo». Insomma, è riuscito a bucare lo schermo, come si dice. «È meglio dire che sono entrato nel cuore delle persone – ci corregge –. Sono le persone che fanno le cose, la vita è fatta dalle persone; il resto è contorno». Sta di fatto che il suo modo di affacciarsi al video l’ha caratterizzata. «Penso proprio di sì. Chiaro, dobbiamo vivere, guadagnare, ma ciò che è importante per finire è la relazione con gli altri». E lei ha saputo entrare in sintonia con i ticinesi. «Posso solo ringraziare questo Paese – sottolinea Karoubian –. Nei primi 18 anni ho fatto esposizioni in tutta la Svizzera: eravamo l’unica ditta ticinese che osava sfidare i grandi mercati d’Oltregottardo. Con il gusto latino, s’intende, che era tutta un’altra cosa. Diciamo che ci siamo aiutati a vicenda». Che è l’importante. «Lo si dimentica, ma quando vieni accolto in un Paese nuovo devi solo dare, dare e rispettare: punto e basta. Il resto poi arriva da solo».
Nomen omen. E si può proprio dire che Felix Karoubian il suo destino ce l’ha nel nome. La gioia e l’entusiasmo non lo abbandonano mai. Anche quando la crisi morde, e fa male. Il suo mondo ruota (e continuerà a ruotare) attorno ai tappeti. Gli si può parlare di tutto, ma alla fine il discorso finisce sempre lì. «Il tappeto stesso porta gioia – si giustifica –: fa migliaia di chilometri e chissà perché arriva nel mondo di casa tua e ti riempie di allegria. Sa cosa dice l’artigiano: “Io faccio il tappeto, Dio il cliente, e il tappeto sceglie il posto”. Non ci sono regole». Certo, ammette, «non posso pagare l’affitto o le imposte con un tappeto». E allora avanti con gli spot. «A qualcuno la mia strategia comunicativa sembra aggressiva – ci dice –. Ma devo pur stimolare i clienti: e per raggiungerli bisogna far leva sui media, giornali, televisione e radio. È una scelta commerciale. Ma grazie a Dio non posso lamentarmi: poteva andare molto peggio». È il suo spirito orientale che viene a galla? «Anche i non orientali hanno questo approccio. La gente, però, è soffocata dalle problematiche. Anche se è grazie a chi compra tappeti in Occidente che chi lavora al telaio vive – annota Karoubian –. Insomma, in Afghanistan non c’è nessuno che compra tappeti. L’Iran è il solo Paese dove mercato interno ed esterno si equilibrano, perché c’è il petrolio e fa parte delle usanze. È come l’orologio per gli svizzeri: non se ne fa a meno, ricco o povero non fa differenza. Da un po’ di anni, però, vado laggiù e vedo persone che non ce la fanno e si comprano un tappeto fatto a macchina in Iran. Una volta era impensabile. Ma il costo della vita aumenta ovunque. Tra un po’ saranno in pochi a potersi permettere un prodotto di qualità. Il che mi fa essere orgoglioso di essere riuscito a far comprare un tappeto anche a chi non ha molti mezzi, senza rovinarsi». C’è da credere che continuerà a provarci. Insomma, la rivedremo ancora su questi schermi? «Non so come sarà, ma ho ancora da combattere per qualche anno. Magari ‘sa vedum’, una volta verrà a trovarmi». Il vero commerciante non perde mai occasione...