Luganese

'Il mio anno in Zambia e un lockdown impossibile'

L'esperienza di Roberta Bernasconi, cooperatrice di Comundo, che ha portato il digitale nelle scuole

Roberta Bernasconi con un'allieva zambiana
15 agosto 2020
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Niente lockdown per Roberta Bernasconi che nel luglio dello scorso anno ha risolutamente deciso di cimentarsi nel campo della cooperazione internazionale recandosi in Zambia in veste di cooperante per l’associazione Comundo con sede in Ticino. La sua esperienza come volontaria, della durata di un intero anno, da luglio 2019 a luglio 2020, ha subito un risvolto imprevisto: lo scoppio e l’espansione della pandemia coronavirus. Come ci racconta la nostra interlocutrice, ha deciso di permanere nonostante la pressione del virus stesse diventando insistente.

Il desiderio di portare avanti il suo progetto le ha dato la forza necessaria per resistere e affrontare la paura scaturita dal propagarsi dell’epidemia che in Zambia, come possiamo immaginare, ha avuto un esito completamente distinto rispetto alla realtà europea. Per la maggioranza della popolazione residente a Lusaka, spiega Roberta Bernasconi, «era l’appuntamento annuale con una crisi, come in passato ci fu la malaria e il colera. Il presidente zambiano Edgar Lungu ha dichiarato lo stato di allerta ma non ha potuto raccomandare il lockdown, poiché incongruente con le disponibilità e con la vita degli abitanti». Quando sono stati riscontrati i primi casi, ci spiega Roberta Bernasconi, la maggioranza della popolazione indossava le mascherine ed evitava gli spostamenti seguendo quindi le indicazioni presidenziali, dopo un mese però la vita è tornata a essere quella abituale, ovvero caratterizzata da un traffico costante e da un commercio ambulante in continuo movimento. Roberta Bernasconi ha invece seguito, da marzo, la politica di Comundo che prevedeva il lavoro da casa e la rinuncia a spostamenti non strettamente necessari.

Computer alle prese con un'elettricità a singhiozzo 

Ma la sua esperienza in Zambia è costituita da questo e molto altro. Inizialmente ha lavorato in ufficio per il progetto Comupters for Zambian Schools dell’organizzazione benefica omonima (CFZS) insieme alla capo progetto con lo scopo di ridurre il divario digitale nelle classi primarie e secondarie. Come chiarisce la nostra interlocutrice, l’informatica, come disciplina scolastica, è divenuta obbligatoria in Zambia dal 2014, purtroppo però il ministro dell’istruzione si è limitato a cambiare la legge ma non ha effettuato l’introduzione o l’istruzione diretta alle tecnologie e i docenti sono quindi spesso impreparati e non in grado di utilizzare i computer. Il cambiamento è perciò avvenuto a livello legislativo ma non ha raggiunto quello pratico. Inoltre -assicura Roberta Bernasconi- può capitare d'incontrare docenti scettici riguardo all’utilità di queste risorse tecnologiche e che conseguentemente influenzano gli allievi e il loro approccio ad esse.

Un ulteriore ostacolo all’apprendimento è rappresentato dal fatto che l’elettricità viene interrotta fino a 15 ore al giorno. Quindi lo scopo del progetto è si quello di introdurre e formare gli alunni e i docenti all’uso dei computer ma anche quello di offrir loro uno strumento per accedere a materiali educativi offline, perché spesso vi è un solo libro in tutta la scuola. Inoltre, insieme all’ONG Camara, che si occupa principalmente di training degli insegnanti, Comundo e CFZS, attraverso l’aiuto fornitogli da Roberta Bernasconi, sono riusciti a monitorare l’impatto della presenza di nuove tecnologie in classe e ottenere infine documenti e informazioni reali e concrete da fornire a donatori e ai rappresentanti dell’istruzione.

 

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