Luganese

Testamento falso, chiesti oltre tre anni per i coniugi

La procuratrice pubblica ha sottolineato che gli imputati erano ben coscienti di aver sottratto denaro – 13 milioni – destinato alla comunione ereditaria

L'aula penale (Foto Ti-Press)
25 febbraio 2019
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Tre anni e quattro mesi a lui, tre anni e due mesi a lei. Non contempla la condizionale la richiesta di pena formulata dalla procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti, al termine della requisitoria nell'ambito del processo a carico dei coniugi accusati di aver malversato circa tredici milioni di euro grazie a un falso testamento. «Erano ben coscienti di aver sottratto denaro che sarebbe dovuto essere messo a disposizione della comunione ereditaria – ha detto la pp –, come pure di star agendo illecitamente». Secondo la pubblica accusa, i due avrebbero infatti mentito svariate volte durante l'inchiesta, nascondendo l'esistenza dei conti e dei soldi su questi depositati.

Contro le dichiarazioni iniziali – e parzialmente in aula – degli imputati, ci sono le testimonianze rese ad esempio dai funzionari di banca svizzeri, secondo le quali i due si sarebbero a più riprese presentati negli istituti di credito coinvolti nelle transazioni. I fondi, partendo dall'Italia, sono finiti dapprima in Liechtenstein e successivamente a Lugano in una nota banca. Da lì, in una filiale dello stesso istituto, ma a Ginevra. Seppur oggi non sia più possibile, ciò che colpisce è che le transazioni siano principalmente state fatte in contanti, arrivando infine su un conto intestato alla donna. Parte del denaro è stato poi speso per una casa in Svizzera – dove i due si sono trasferiti nel 2012 – e per delle automobili.

«Non sapevo nulla – si è giustificato l'imputato in aula, incalzato dal presidente della Corte Mauro Ermani –, del caso si è occupato il mio avvocato italiano». «Eppure sapevano bene che la vedova dello zio (che avrebbe lasciato tutta l'eredità all'imputato, ndr) aveva avviato una causa in Italia per dichiarare nullo il testamento che indicava il 63enne erede universale», ha accusato Rigamonti aggiungendo che hanno agito senza scrupolo. «Oltretutto – ha ricordato precedentemente il giudice – la legge italiana prevede che di principio la moglie ha diritto a una quota legittima». Ma pur sapendo sia questo che delle rimostranze della donna, avrebbero proseguito col proprio piano. Una vedova, «la cui sofferenza è stata calpestata dall'egoismo primitivo dell'imputato» ha rimarcato il rappresentante dell'accusatrice privata Maurizio Pagliuca, chiedendo anche oltre 150'000 franchi di danni.

Domani è attesa la sentenza, ma non prima di aver sentito le arringhe dei difensori. Il quadro della storia risulta quindi ancora incompleto, sebbene sulla questione principale – l'autenticità o meno del testamento, confermata e rispettivamente smentita da diverse perizie, tra cui una del Ministero pubblico ticinese che ne ha decretato la falsità – non spetterà a questa Corte prendere direttamente posizione.

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