È la parabola di un eritreo 29enne, condannato oggi alle Assise correzionali di Lugano a 22 mesi sospesi per droga. Dovrà lasciare la Svizzera per 5 anni.
«Dispiace non poter riferire del suo esempio di integrazione: lavorava, si era fatto degli amici, ha imparato bene la lingua. Ma è riuscito a rovinare quanto di bello fatto. È un gran peccato». Significativo l'attacco della requisitoria della procuratrice pubblica Pamela Pedretti durante il processo svoltosi stamattina alle Assise correzionali di Lugano, dov'è stato condannato a ventidue mesi sospesi per droga un 29enne eritreo. Più che il reato in sé, ha fatto infatti discutere la sua parabola.
Arrivato con lo status di rifugiato in Svizzera dodici anni fa, il giovane si era inizialmente ben integrato, tanto da riuscire a ottennere il permesso di dimora B, di cui gode ancora oggi. Sebbene non abbia concluso una vera e propria formazione, escluse le scuole dell'obbligo nel Paese d'origine, in Ticino ha svolto diversi lavori in vari ambiti. Dal 2014 le cose cambiano: in seguito a un licenziamento non riesce a restare nel mercato del lavoro ed è costretto ad affidarsi all'aiuto sociale, dissocupazione prima e assistenza poi. Ed è proprio una volta scadute le indennità per senza lavoro che inizia la spirale nell'illegalità. Dapprima come intermediario e poi dall'inizio di quest'anno come spacciatore diretto. Accumula debiti, ma spende soldi nella vita notturna.
Ingenti i quantitativi di droga passati dalle sue mani: oltre 300 grammi di cocaina (di buona purezza), poco meno di 100 grammi di hashish e addirittura circa 7 chili di marijuana. Di questi una parte sono stati venduti a consumatori locali, ma una larga fetta era ancora in suo possesso pronta per essere smerciata. E anche l'arresto stesso dell'imputato – avvenuto a luglio – è legato alla sua attività illecita: mentre si stava recando con un amico da un cliente, i due sono stati segnalati alla polizia da un vicino che li aveva scambiati per ladri. «Spacciavo per accumulare soldi per poter far venire qui la mia famiglia» si è giustificato in aula.
L'uomo, seppur con qualche esitazione, ha ammesso i fatti e l'atto d'accusa è stato confermato anche dalla giudice Manuela Frequin Taminelli che l'ha condannato per contravvenzione e infrazione alla Legge federale sugli stupefacenti. La presidente della Corte ha solo limato la richiesta di pena della pp: ventidue mesi – sospesi per tre anni – invece di ventiquattro, una multa di cento franchi e l'espulsione dalla Svizzera per cinque anni al posto dei sei chiesti.
Quest'ultimo l'aspetto più dibattuto. «Richiamiamo la clausola di rigore, ci opponiamo all'espulsione – ha detto il difensore Massimo Quadri –, ricordo che per gli eritrei vige sempre la possibilià di essere richiamati per fare il servizio militare (motivo principale per il quale il giovane è fuggito, ndr), che il Tribunale federale considera lavoro forzato. Non ha più legami con l'Eritrea (la famiglia è rifugiata in Sudan, ndr), che è un Paese che non accetta rimpatri forzati. I diritti fondamentali sono superiori alle richieste d'espulsione». «A prevalere è la tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico – la replica durante la sentenza di Frequin Taminelli –. Oltre alla zia e alla cugina non ha particolari legami sul territorio, non ci sono prospettive di reinserimento professionale né parla le altre lingue nazionali. In Ticino ha frequentato un ambiente criminogeno e la Corte non ritiene che si sia integrato. Non si può infine pensare che sia esposto al pericolo di ritorsione: secondo il Tribunale amministrativo federale questo avviene unicamente quando l'individuo è in contatto con le autorità militari».
Sebbene la pena inflitta sia sospesa, il condannato è stato riportato in carcere affinché possa decidere se ricorrere o meno all'Appello.