Luganese

Guido Tognola e il 'suo' Plr

Il neo presidente della sezione cittadina in un'intervista a tutto tondo sul futuro del partito e della città

Ti-press
5 luglio 2018
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Incontriamo Guido Tognola in una terrazza affacciata sul lago di un locale pubblico cittadino. Sopra le nostre teste, girano le pale che muovono l’aria e richiamano il calore dei Paesi del sud. Da sempre legato ai valori liberali, il neopresidente del Plr di Lugano non ha mai fatto politica attiva. Non ama etichettature, ritenendosi al contempo conservatore per quanto attiene alla salvaguardia dei valori liberali radicali, liberale in quanto sostenitore di uno Stato snello, radicale per la necessità di una sensibilità sociale, altresì progressista perché attento alle necessità del domani, semplicemente liberale radicale per l’importanza data alla cultura ed è per questo che non condivide pienamente quanto da noi attribuito nel resoconto dell’assemblea in cui è stato designato alla testa della sezione (cfr, ‘laRegione’ di sabato 16 giugno). Ritiene si debba andare oltre le vecchie classificazioni interne al partito. Il recupero del terreno perso, dal suo punto di vista, dovrà avvenire riconquistando almeno una parte dell’elettorato che non si reca più alle urne, ma che ama e che crede nella politica. «Nel caso di insuccesso, significa che avrò fallito ed è giusto che me ne vada e lasci il posto ad altri. Tutti i politici dovrebbero comportarsi così», afferma nel recente incontro informale che abbiamo avuto da cui è scaturita questa intervista senza domande preconfezionate.

Come ha vissuto la chiamata della Commissione Cerca?
Sono stato cercato e convocato dalla Commissione Cerca che mi ha chiesto di scendere in campo. Per me è stato uno dei momenti della vita in cui sei di fronte a un bivio fra il proseguimento del tuo percorso individuale e un impegno che ti consente di portare alla luce le tue idee a favore di un gruppo. La mia risposta è stata spontanea nel decidere che era tempo che mi assumessi la responsabilità civica e civile del fare.

Passiamo alla città, quali sono le priorità e gli argomenti su cui la politica dovrebbe insistere?
L’impostazione di sviluppo basata sui poli è stata ideata e cominciata dal Plr ma poi, apparentemente, si è arenata. Il progetto di Polo culturale è stato una grande opportunità e un elemento di progressione per tutta la comunità, uno strumento che combatte l’ignoranza e automaticamente la paura. E che fa crescere l’individuo e che genera ricchezza, ciò che è alla base del pensiero liberale. In questo momento si considera il Lac non come punto di partenza, bensì quasi un punto di arrivo. Non basta il semplice contenitore. Da lì occorre costruire.

In che senso arenata?
Dopo l’epoca di Giovanna Masoni Brenni e di Giorgio Giudici, il polo culturale non è mai stato veramente sviluppato e messo in rete come già allora auspicato con le altre realtà presenti in città. Lac, Conservatorio, Fondazioni e i vari musei, solo per citarne alcuni esempi, appaiono slegati sul territorio impedendo di creare quella profondità territoriale e quel respiro internazionale necessari alla città, che ora si trova schiacciata e perde gran parte di ciò che ha come ricchezza. Oggi, tu giri per la città e non trovi un solo cartello segnaletico che ti accompagni semplicemente ad un punto d’interesse scoprendo automaticamente la bellezza della nostra città.

Di cosa avrebbe bisogno Lugano?
Penso che le basi ci siano tutte. Ci vuole quella volontà di andare oltre, il coraggio di immaginare una città che possa continuare a crescere recuperando il ritardo accumulato.

Come e in quali settori?
La crescita dovrebbe avvenire in tutti i suoi comparti. La finanza sta entrando in una fase di concorrenzialità positiva e produttiva, il turismo dovrebbe crescere altrettanto, ma in questo momento stenta e conosce difficoltà. Il polo legato alla sanità e alla ricerca deve essere non solo protetto, bensì ulteriormente valorizzato. Il futuro polo sportivo.

Che idea si è fatto sulle polemiche relative al Cardiocentro?
Non voglio entrare nel merito della questione che è di competenza giuridica e cantonale, ma se rischiamo di dismettere il Cardiocentro che senso avrebbe una facoltà di medicina? L’ospedale del cuore deve rimanere a Lugano in un modo o nell’altro e l’attuale politica di centralizzazione a Bellinzona nel futuro ospedale cantonale…

Quali sono le sue ricette, se così si può dire, rispetto invece alla crisi che stanno vivendo i commerci cittadini?
È sempre complicato parlare di ricette. La Città dovrebbe fornire delle garanzie affinché si possa operare in libera concorrenza, approntando strutture e condizioni più adeguate per operare al meglio. Occorre ottenere lo statuto di città turistica, rivedere gli orari di apertura, le strategie al fine di spostare la responsabilità al commerciante stesso, dargli l’opportunità di potersi veramente organizzare. Senza più alibi.

Come intervenire se le pigioni in centro città portano via una fetta crescente dell’incasso?
Il Municipio ha il potere politico per valutare il costo di occupazione dello spazio pubblico che a Lugano è molto elevato. Se si mette una pianta per abbellire piazza della Riforma costa 250 franchi al metro quadrato.

Un problema spesso collegato alla crisi dei commerci è quello dei posteggi. Come si potrebbe migliorare?
L’affitto dei parcheggi per i commercianti è schizzato da 480 a 550 franchi al mese (misura nel frattempo congelata). La Città dovrebbe rivedere dove può agevolare i commercianti. La concentrazione di attività in Piazza Riforma e Manzoni non pare sempre giustificata, soprattutto quando abbiamo a disposizione, ma non solo, una foce bellissima eppure abbandonata quasi completamente a se stessa. Abbiamo un parco Ciani magnifico e moltissime altre situazioni locali che si potrebbero valorizzare. Automaticamente si darebbe profondità a Lugano dando la possibilità ai commercianti di poterne usufruire. La concentrazione di attività in un punto o in poche zone fa tutti perdenti.

E in relazione all’annosa questione del traffico?
Sarà sempre peggio e soluzioni sempre demandate a 10-30 anni non sono la sola risposta che oggi necessitiamo. Bisogna intervenire immediatamente con una serie di correttivi nell’interesse di tutti e con la massima trasparenza. Questo è un punto del nostro programma politico.

Qual è il suo messaggio politico?
Mi piacerebbe tornare a parlare di Polis, di Stato di diritto, di Confederazione, non di nazione, di laicità… Il nostro sistema civico concede una grande libertà e responsabilità alle Città come centro decisionale.

Come tradurre questi concetti nell’azione concreta?
Occorre riappropriarsi di quei valori di libertà individuale, democrazia, di giustizia, di federalismo che hanno fatto grande la Svizzera. Oggi diamo per scontate le conquiste che ci avevano portato ad avere l’eccellenza nella sanità, la migliore scuola pubblica e un’integrazione che ha dato ottimi frutti. Senza accorgerci che, col passare degli anni, abbiamo perso terreno. Oggi diciamo semplicemente che stiamo meglio di altri.

Nel suo discorso ha richiamato il concetto di cultura come focus su cui tornare a costruire. In che senso?
La cultura abbraccia tutti i settori e rappresenta un approccio, un antidoto contro l’ignoranza. È la base sulla quale si costruiscono tutte le ricchezze “sane” e durature, oltre che strumento fondamentale per combattere l’attuale pauperizzazione.

Come valuta l’esperienza del centro sociale?
Lo conosco poco, ci sono stato un paio di volte. Ritengo comunque sia un’esperienza da ritenersi conclusa pur se all’origine, potenzialmente, potevano esserci tematiche interessanti. Altrove, come a Ginevra e Zurigo ci sono state esperienze che hanno fatto scuola. In queste realtà ad un certo momento c’è chi si è assunto la sfida di dimostrare la propria bravura. Il centro sociale di Lugano mi pare si sia arroccato sulle sue posizioni. Non è un faro, né un punto di riferimento nemmeno a livello intellettuale. È una voce fuori del coro ma non trainante, poco propositiva e tantomeno illuminata.

All’assemblea ha parlato del mondo sikh dove tutti fanno di cognome Singh. A cosa si riferiva?
Quando un sikh si presenta deve forzatamente, avendo tutti lo stesso cognome, fare riferimento alla sua storia familiare per differenziarsi l’uno dall’altro. Trovo che questo “racconto” aiuti a ricordare, a non dimenticare le proprie origini, la propria storia, ad esempio ricordandoci che in quasi tutte le nostre famiglie abbiamo un migrante e non sempre fortunato… Forse sarebbe bene iniziare a pensare di risolvere alla base i problemi, anzitutto capendoli, contestualizzandoli correttamente. Oggi, purtroppo, ci limitiamo a cercare di contenere malamente le cosiddette conseguenze collaterali.

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