Luganese

Abusò del figlio, condannato un papà del Luganese

Gli atti sessuali sono iniziati quando il bimbo aveva solo sei anni e continuati per circa quattro anni. La pp Pedretti: 'Rubate innocenza e spensieratezza'.

Ti-Press
4 giugno 2018
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«Per oltre quattro anni ha rubato l’innocenza e la spensieratezza che ogni bambino dovrebbe avere». È stata ferma e decisa, ma cauta nella scelta delle parole la requisitoria della procuratrice pubblica Pamela Pedretti in quella che ha definito «una delicata e triste vicenda consumata tra le mura domestiche». Alle Assise criminali di Lugano è stato infatti condannato un padre colpevole di aver abusato del figlio per circa quattro anni.
Di poche parole ma a più riprese apparso turbato, l’imputato è un italiano cinquantenne residente nel Luganese all'epoca dei fatti. «Una vita regolare, economicamente stabile, senza problemi con la giustizia» come sottolineato dall’avvocata della difesa Sabrina Aldi. Qualcosa in lui è però scattato quando il figlio aveva sei anni. Passando molto tempo con lui alla sera, mentre la moglie si trovava al lavoro, alle chiacchiere hanno cominciato ad accompagnarsi momenti giocosi. Un’innocua ‘lotta’ tramutatasi poi in carezze, diventate atti sessuali con palpeggiamenti di vario genere. E baci, anche proibiti. Una situazione protrattasi per quattro anni circa. A interromperla bruscamente, l’irruzione della madre in salotto, che ha sorpreso il marito in atteggiamenti sospetti col figlio. Da quest’ultimo episodio – l’ultimo di una lunga serie, in quanto gli atti sarebbero andati avanti quasi quotidianamente –, più nulla. Pur continuando a trascorrere del tempo col figlio, anche da solo, il padre non si è più trasformato in orco. «Mi ero reso conto che non poteva andare avanti, sapevo di star facendo qualcosa di sbagliato» ha detto l’uomo in aula.
La sua parziale consapevolezza si è giuridicamente tradotta in una scemata imputabilità di grado lieve, dovuta a un disturbo schizoide di lunga durata. «Dovrà continuare il trattamente ambulatoriale già iniziato in carcere – ha detto il presidente della Corte Marco Villa –, per eliminare qualsiasi (basso, ndr) rischio di recidiva». L’uomo è stato condannato a tre anni e mezzo – più dei tre al masismo chiesti da Aldi e meno dei quattro e tre mesi invocati dalla pp –, oltre che a un’espulsione dalla Svizzera per cinque anni. «Non abbiamo voluto rendere ancor più difficile l’eventuale ricontatto col figlio e l’ex moglie (che si è detta a disposta in tal senso, a determinate condizioni, ndr)» ha spiegato il giudice, giustificando la commisurazione minore rispetto ai nove anni chiesti da Pedretti.
«Dovrò rifarmi una vita» ha infine constatato il condannato – colpevole anche di minaccia nei confronti dell’ex moglie, per delle dure parole usate durante uno dei violenti litigi che hanno portato al divorzio –, riconoscendo sia gli errori che la necessità di un aiuto. E scusandosi nuovamente per l'accaduto.

Galliani: 'Ha agito in famiglia, colpa ancor più grave'

«Vergogna, colpa, impotenza, preoccupazione». Parole gravi, pesanti, cariche di significato, riecheggiate nel silenzio dell’aula. È la sintesi, riportata dalla rappresentante dell’accusatore privato – il figlio, oggi adolescente – Maria Galliani, della perizia a cui la vittima è stata sottoposta dopo i gravi fatti che l’hanno intaccata per anni. «La colpa è grave – ha detto la legale, chiedendo e ottenendo un simbolico risarcimento per torto morale –, resa ancor più tale dal fatto che l’imputato abbia agito in ambito famigliare, ai danni del suo unico figlio che ha sofferto e soffre ancora per quel che il padre gli ha fatto. È innegabile che abbia stravolto la sua vita, come quella della famiglia nel suo insieme. Ha violato brutalmente la fiducia del figlio». L’aggravante è data quindi dal fatto che un reato già per sua natura così spiacevole sia stato perpetrato ai danni del figlio, in un contesto che per definizione dovrebbe essere rassicurante e protetto. Elementi che accomunano la famiglia all’istituzione scolastica, da cui è partita la segnalazione alla polizia, sfociata poi nella denuncia vera e propria sporta dalla madre del bambino. 

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