Locarnese

Ragazza 'incisa', l'errore fu collettivo

La Carità: dal caso dell'adolescente operata (per poco) al piede sbagliato emergono una falla iniziale e una finale

3 novembre 2018
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Il caso dell’adolescente su cui, alla Carità, era stata avviata (ma poi subito interrotta) un’operazione al piede sbagliato, insegna alcune cose. La prima è che nonostante il rispetto di tutti i protocolli di sicurezza e qualità, l’errore può capitare.

Uno sbaglio di questo genere, stando al dato fornito alla “Regione” dal direttore sanitario dell’ospedale regionale di Locarno, dottor Mario Maggiorini, capita una volta su 50mila, ovverosia nello 0,002% dei casi. Ma capita. E quando succede, le conseguenze possono essere paradossalmente più pesanti per il personale curante che non per il o la paziente vittima dell’errore. La ragazza, poi operata al piede giusto con il consenso della famiglia, in un clima di chiarezza e fiducia totali rispetto al nosocomio, non subirà infatti alcuna conseguenza poiché l’accaduto non avrà alcun impatto sulla mobilità né sarà causa di menomazioni permanenti.

Debriefing psicologico per il team di cura e caso segnalato alla Responsabilità civile

Diverso il discorso per gli addetti ai lavori, già messi al beneficio di un debriefing psicologico: «Situazioni del genere non si vivono affatto bene, ed è importante che vi sia la possibilità di parlarne, di affrontarle con gli strumenti adeguati», rileva Maggiorini. Sul fronte amministrativo, il caso è stato segnalato alla Responsabilità civile, che lo manterrà aperto per ogni evenienza fino al momento in cui la ragazza avrà raggiunto la maggiore età. Nello specifico, intanto, la dinamica dell’accaduto è stata analizzata e chiarita: «L’errore è stato collettivo, cioè non imputabile ad un singolo; l’interazione tra gli elementi tecnologici, umani e relazionali purtroppo non ha funzionato – nota Maggiorini –. In prima istanza nel sistema informatico dell’ospedale risultava erroneamente indicato che il piede da operare era il sinistro anziché il destro. A ciò è seguita una concatenazione di eventi che hanno superato tutte le difese messe in atto dall’organizzazione, e pure quando la discrepanza è stata osservata per rapporto alla documentazione cartacea in cartella clinica – in realtà corretta – ci si è fidati più dei dati presenti nel computer, reputandoli più aggiornati». È successo nella cosiddetta procedura di “time-out” (si veda l’articolo a fianco, ndr): l’ultima verifica, su una quindicina di punti, che tutti i controlli siano stati effettuati. Ebbene, «nonostante questa “check-list” non si è potuta sventare l’incisione sul lato sbagliato, poi immediatamente interrotta. Informata la famiglia, è stata confermata la fiducia e si è potuto procedere con l’intervento corretto, andato a buon fine». Ora, conclude il medico, «sono stati introdotti correttivi nella procedura. Già all’inizio di settimana prossima tutte le conclusioni dell’analisi eseguita, che ha richiesto un certo tempo, saranno estese ai team coinvolti nel processo di cura».

In Eoc la ‘check-list’ dell’Oms

Per evitare al minimo il rischio di errori, l’Eoc applica la “check-list” dell’Organizzazione mondiale della sanità. Come spiegato a suo tempo alla “Regione” dall’allora presidente della Società svizzera di chirurgia, Raffaele Rosso, il primo passo è il “consenso informato”, un colloquio durante il quale il chirurgo e l’anestesista forniscono al paziente tutte le informazioni necessarie per potere decidere se sottoporsi all’intervento chirurgico. Devono esserci scritti nome, cognome del paziente, diagnosi e condizione clinica, la procedura operatoria, la sede dell’intervento e la lateralità della procedura. Di seguito, l’infermiere deve controllare che i “consensi informati” di chirurgia e anestesia siano firmati da paziente e medico, che il paziente abbia il braccialetto di riconoscimento e che il sito operatorio sia marcato con un pennarello indelebile. Dopo il filtro in reparto, la seconda tappa è all’entrata del blocco operatorio con, soprattutto, verifica dell’identità e tipo di intervento. C’è infine il “time-out”, un’ulteriore verifica completa in sala operatoria, condivisa fra chirurgo e “team”.

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