Locarnese

'La Rotonda? Un potenziale senza idee'

Dall'architetto Alain Poroli, che ne rivendica la paternità, il rammarico per uno spazio pubblico 'spremuto come un'arancia'

(Il progetto di Poroli datato 2013)
21 agosto 2018
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«Non volevo più entrare in questa polemica, ma quando ho letto l’articolo mi è sembrato che qui tutti parlano, ma nessuno sa bene di cosa». L’eco dei risultati non proprio da blockbuster della Rotonda festivaliera scalda due ex di Locarno Viva, associazione che dal 2005 al 2015 l’aveva gestita e dalla quale l’architetto Alain Poroli si era staccato nel 2010. Riferendosi alle dichiarazioni di Marcello Tonini al ‘Cdt’, e prima di dire altro, Poroli ci tiene che “storico ideatore del villaggio” sia riferito a sé e non all’ex associato.

Un passo indietro. Tra Poroli e la defunta Locarno Viva vi fu una causa civile (cfr. ‘laRegione’ del 19 agosto 2015) durata 4 anni e vinta dal Poroli. Oggetto del contendere, un corrispettivo in denaro di quanto investito dall’architetto in termini di soldi, lavoro e tempo spesi nei 5 anni di attività per l’associazione. «Il signor Tonini si definisce ‘creatore’ – spiega Poroli –, ma vi è una sentenza cresciuta in giudicato nella quale se ne ribadisce l’effettiva paternità. Vedo in quelle dichiarazioni un prepararsi il terreno per rientrare tra due anni», ovvero quando scadrà la gestione affidata dall’esecutivo alla Festival service (ovvero al Festival). «Reagisco a quanto letto – continua l’architetto – anche per ridare la giusta memoria storica». Una memoria per la quale «andando a leggere i dettagli di questa causa durata 4 anni – sostiene Poroli – ci sarebbe da aprire un vaso di Pandora».

Cultura oltre le bancarelle

Anno 2002, l’esordio della Rotonda, organizzata in solitaria da Poroli. «Fui il primo a volere una relazione anche culturale col Festival, non solo bancarelle. Vista oggi, la Rotonda è il mio progetto del 2009 dal quale è stata estratta la sola parte commerciale. C’è un potenziale, ma non ci sono idee, né creatori di idee». Da leggersi come: «La prima volta chiesi a Solari il permesso di lanciare quello spazio, perché ogni iniziativa da farsi lì era subordinata all’ok del Festival. “Facciamo un bar di ghiaccio”, gli dissi, certo che se ne sarebbe parlato ovunque. Furono fatti 11 banconi di 9 metri, uno al giorno. Piovve per 5 giorni, ma fu un successo di pubblico. Tutta quella Rotonda fu fatta con due tende professionali di 5 metri per 5 e altre tende da 50 franchi l’una che si comprano al supermercato, perché quelli erano i fondi che avevo».

Ricordi per ricordi, fino al 2010 in Rotonda c’era un asilo nido, «uno spazio autofinanziato affidato gratis a 4 maestre dell’infanzia, dove i genitori lasciavano i bimbi per andare al cinema. Ma l’asilo portava via uno spazio d’affitto, e fu tolto». Del modo di intendere la Rotonda, Poroli contesta le “fake news” date ai commercianti sul rischio commerciale e sull’esclusività del prodotto, critica la presenza dei grandi gruppi («Volevo inserire le birre ticinesi, ma non c’era la capacità produttiva. Oggi si potrebbe, e sarebbero meno scialacquate di altre») e la volontà di aumentare ogni anno il prezzo della birra («Io la volevo abbassare, avendo la massa critica economica per farlo»). E sul capitolo rifiuti ricorda «la bocciatura di un sistema di smaltimento sviluppato per Slow Food Italia da una ditta di Varese, che forniva piatti e forchette biodegradabili da inserire in una macchina che li trasformava in terra».

‘Sagra di paese? Minestra riscaldata’

Alla domanda “Tornerebbe a lavorare per la Rotonda?”, l’architetto prima chiede «una domanda di riserva». Poi: «La causa mi ha logorato. Locarno Viva è fallita, i soldi li ho solo sulla carta. La Rotonda viene ogni volta spremuta come un’arancia, invece di accontentarsi di un giusto guadagno senza perdere di vista la parte culturale. La gestione del Festival, a mio parere, non è stata diversa». Nonostante ciò, «la rifarei, ma con il Festival, perché ho sempre detto che la Rotonda è del Festival. Ma non come sagra di paese o mercatino etnico, minestra riscaldata. Serve un concetto nuovo. E non bastano persone con bellissimi titoli di marketing in inglese; serve gente per la quale la Rotonda non significhi solo visibilità e stringere mani».

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